Immigrazione: scontro Francia-Italia. Il dolore del Papa per la nuova tragedia del
mare. Vegliò: l'Europa non sia egoista
Sono riprese le ricerche dei dispersi, oltre 250, coinvolti nel tragico naufragio
di un barcone avvenuto martedì notte a sud di Lampedusa, in acque maltesi, ma le condizioni
del mare restano proibitive. Intanto dall’isola sono stati trasferiti i 53 migranti
salvati ieri. Una vicenda seguita dal Papa con viva preoccupazione e sgomento. Ascoltiamo
il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi:
"La tragedia
della morte in mare di un gran numero di migranti che dalle coste dell’Africa settentrionale
cercano di raggiungere l’Europa ha colpito profondamente il Santo Padre, che segue
con partecipazione e preoccupazione le vicende dei migranti in questo periodo drammatico.
Il Santo Padre e tutta la Chiesa ricordano nella preghiera tutte le vittime di ogni
nazionalità e condizione, anche donne e bambini, che perdono la vita nel terribile
viaggio per sfuggire alle situazioni di povertà, o di ingiustizia o di violenza da
cui sono afflitte, alla ricerca di protezione, accoglienza e condizioni di vita più
umane. Ricordiamo che fra le vittime di queste tragedie nel Mediterraneo vi sono migranti
eritrei cattolici che si trovavano in Libia e partecipavano anche alla vita della
comunità cattolica".
Oggi, intanto, in Italia si è svolta alla Camera l’informativa
del ministro dell’Interno Maroni che ribadisce: “l’Europa non può continuare a lasciarci
soli”. Quindi ha annunciato il decreto con la concessione del permesso di soggiorno
temporaneo a chi è giunto in Italia. Dal canto suo la Francia fissa 5 dure regole
per gestire gli ingressi dai Paesi terzi. Sul tema dell’immigrazione è tornata anche
la Conferenza episcopale italiana: “l’Italia – dicono i vescovi - rischia di dividersi
sull’accoglienza”. Il servizio di Cecilia Seppia:
E’ stata
la notte del dolore a Lampedusa e insieme delle conferme drammatiche sul naufragio
avvenuto in acque maltesi a 39 miglia dall’isola: circa 250 persone risultano ancora
disperse. Alle prime luci dell’alba sono riprese le ricerche, con il mare forza 5
e le raffiche di maestrale, ma per ora non c’è traccia di vita in quel cimitero di
corpi che è il Mediterraneo. La polemica sulla competenza delle operazioni di soccorso
e intervento tra Italia e Malta va avanti, mentre da Agrigento tuona la voce del vescovo,
mons. Montenegro: “Sono morti che pesano sulla coscienza di tutti - dice il presule
- la colpa di questo naufragio – afferma - non è del mare, ma dell’indifferenza e
di regole sbagliate”. Intanto i 53 migranti tratti in salvo ieri dalla Guardia costiera
italiana sono stati trasferiti con un ponte aereo a Brindisi. Nei loro occhi ancora
paura e il dolore per la perdita di parenti e amici: alcuni sopravvissuti hanno raccontato
gli istanti prima del dramma: l'euforia alla vista della motovedetta, l’errore di
spingersi alzandosi in piedi, la calca per guadagnare un centimetro, mentre le onde
inghiottivano uomini, donne e bambini senza pietà. C’è anche il racconto dei soccorritori
che dicono di aver visto letteralmente volare a grappoli centinaia di persone in mare.
Ci sono poi le lacrime di Ebbi, un papà libico di 19 anni che ha perso suo figlio
di appena 3 mesi: “L’acqua me l’ha strappato, ho fatto di tutto” continua a ripetere.
Intanto il dibattito politico sull’emergenza immigrazione va avanti. Alla Camera,
dove è stato osservato un minuto di silenzio per le vittime, il ministro dell’Interno
Maroni ricorda i numeri di quest'ultima immigrazione: da gennaio ci sono stati 390
sbarchi e 25.800 arrivi, poi annuncia la concessione del permesso di soggiorno temporaneo
a chi è giunto in Italia, che consentirà di circolare nei Paesi dell’area Schengen.
Quindi il titolare dell’Interno ha sollecitato l’adozione da parte dell’Ue di accordi
bilaterali con i Paesi nordafricani e ribadito: “L’Europa non ci lasci soli”. Un appello
accorato alla comunità internazionale arriva anche da don Mussie Zerai,
sacerdote eritreo presidente dell’Agenzia Abeshia per la Cooperazione allo Sviluppo:
“Se
la comunità europea ci avesse ascoltato quando noi, insieme anche al vescovo di Tripoli,
lanciavamo l’appello ad evacuare queste persone insieme ai cittadini europei che lasciavano
la Libia, non saremmo qui a contare i morti e i dispersi. Quello che noi ci sentiamo
di fare ancora oggi è lanciare un appello per un piano di evacuazione, aprendo un
corridoio umanitario sia dalla Libia, in Tunisia o in Egitto del Sud. C’è il rischio
che queste persone, se non troveranno un sostegno, un’accoglienza da qualche parte,
si affideranno, per la disperazione, ai barconi e al mare”.
Ma la Francia
serra i ranghi e fissa dure regole per l’ingresso da Paesi terzi: soggiorni che non
superino tre mesi; essere in possesso del passaporto o di un documento valido emesso
da uno stato membro dello spazio Schengen. Titoli e autorizzazioni accettabili solo
se notificate alla commissione Ue dallo Stato che li ha emessi; gli stranieri dovranno
poi giustificare di avere risorse sufficienti e di non rappresentare una minaccia
per l’ordine pubblico, altrimenti – si legge nella nota - verranno riconsegnati allo
stato di provenienza. La Cei, da parte sua, torna a ribadire l’importanza dell’accoglienza
dei migranti auspicando che l’Italia su questo tema non rischi di dividersi. Ciò che
emerge dice il segretario generale della Cei, mons. Crociata, è un eccesso di paura
verso lo straniero bisognoso e il diverso, oltre all’incapacità di comprendere quanto
sta avvenendo.
Su questa nuova tragedia del mare Fabio Colagrande
ha intervistato mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio
della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:
R. - Anzitutto
desidero esprimere la mia profonda tristezza per il tragico naufragio, ieri, di un
barcone che trasportava 250-300 persone, nessuno lo sa con precisione: uomini, donne
e bambini in fuga dall'Africa. Le condizioni proibitive del Mare nostrum hanno inghiottito
i loro sogni, come quelli di altri che attraversano questo crocevia della disperazione.
Purtroppo la scelta dei barconi via mare, in mano - spesso - a contrabbandieri e trafficanti
senza scrupolo, è un’estrema alternativa dettata dall’impossibilità di utilizzare
altri mezzi, dato che da tempo i Paesi europei hanno chiuso i confini, introducendo
norme restrittive sugli ingressi di questi poveri disgraziati.
D. -
In Europa aumenta la preoccupazione per l’improvvisa crescita del flusso migratorio
proveniente dal Nord Africa verso il Vecchio Continente: un fenomeno epocale che -
come in Italia, a Lampedusa - può creare gravi situazioni umanitarie. Quale atteggiamento
deve avere la comunità cristiana rispetto a questa vicenda?
R. - Desidero
nuovamente fare appello alla solidarietà e all’accoglienza. L’Italia, lo scorso anno,
occupava - tra i Paesi industrializzati - il 14.mo posto per l’accoglienza dei rifugiati;
i Paesi Bassi, con un territorio più piccolo e una popolazione meno numerosa, hanno
accolto il doppio dei rifugiati rispetto all’Italia; anche la Francia ha ospitato
più rifugiati, con una percentuale del 13 per cento, mentre l’Italia ha una percentuale
di rifugiati di soltanto il 2 per cento. Gli eventi in Italia, certo, possono apparire
drammatici, ma sono ancora in un certo contesto e non bisognerebbe esasperare quanto
sta accadendo. L’Italia, in fondo, è una grande potenza economica, industriale, sociale:
quindi potrebbe avere la possibilità, con certe regole precise, di non spaventarsi
troppo di fronte ad un fenomeno che esiste e che disgraziatamente, forse, va aumentando.
Quello che veramente si desidererebbe è che l’Europa - non solo l’Italia - prendesse
un pochino più a cuore la situazione e studiasse come affrontare e come risolvere
questo problema. Non lo si può risolvere solamente con delle leggi punitive: bisogna
pure darsi un po’ di pene per vedere come noi, popoli industriali e ricchi, possiamo
risolvere questo problema, che esiste! Si possono cacciare, ma rientreranno da un’altra
parte. Non c’è niente da fare… In secondo luogo, bisogna distinguere tra coloro che
giungono dalla Libia e quanti giungono dalla Tunisia: quelli che provengono dalla
Libia, attualmente zona di guerra, non dovrebbero essere respinti; quanti invece arrivano
dalla Tunisia rientrano nei flussi di migrazione miste, migranti e rifugiati insieme.
Ciascuno di loro dovrebbe essere sottoposto ad uno screening per vagliare il diritto
alla protezione, come giustamente si sta orientando a fare l’Italia. In fondo, in
questa situazione, l’Italia - sarà perché è la nazione più vicina, sarà anche per
la presenza della Chiesa - penso di poter dire che si sta comportando abbastanza bene
e il popolo di Lampedusa è stato esemplare. Altrettanto importante è l’adozione del
permesso temporaneo, che offre solidarietà a chi ne beneficia, mentre incoraggia la
cooperazione sia sul territorio italiano che a livello europeo. L’intervento dei vescovi
italiani rispecchia poi il richiamo del Vangelo sull’accoglienza umana e fraterna.
I vescovi, come tali e come Cei, hanno messo a disposizione 2.500 posti nelle varie
diocesi. L’Europa deve riflettere seriamente su ciò che significa rimanere nella regione
dalla quale i rifugiati fuggono: generalmente si afferma che essi dovrebbero recarsi
nei Paesi vicini, ma se questo fosse applicato alla Libia comporterebbe che i rifugiati
di quel Paese vengano accolti in Europa. Ciò significa che l’Europa deve prendersi
le sue responsabilità per assolvere i suoi doveri di protezione dei rifugiati e dimostrare
cosa significhi solidarietà e condivisione. L’arrivo degli altri può dare fastidio,
ma non è cristiano questo egoismo: dobbiamo aprirci anche agli altri, anche politicamente
parlando perché tanto è un fenomeno che non si può fermare. Questo c’è e ci sarà
e bisogna darsi una regolata… (mg)