In Afghanistan e Pakistan, ancora violenze dopo il rogo del Corano
Proseguono in Pakistan e Afghanistan le violente proteste suscitate dal rogo del Corano
eseguito da un pastore evangelico negli Usa, il 20 marzo scorso. In Afghanistan le
reazioni degli estremisti islamici hanno già causato 30 morti da venerdì scorso, quando
è stato assaltato il Palazzo dell’Onu a Mazar-i-sharif e sono continuati sabato con
gli scontri a Kandahar. Padre Giuseppe Moretti, superiore della "Missio sui iuri"
a Kabul, ha invitato la comunità a pregare e ha condannato il gesto del pastore statunitense.
“Bruciare un testo sacro, di qualsiasi religione, è un atto gravissimo e sacrilego
perché la libertà non è offendere quanto per altri è sacro – ha detto ad AsiaNews
– è invece un atto contrario allo stesso cristianesimo, religione che insegna ad amare
tutti, anche chi la pensa in modo diverso”. Anche in Pakistan le reazioni al rogo
sono state violente, con tre attacchi nel giro di una settimana da parte degli estremisti
e le minacce a un cristiano di venire accusato di blasfemia. Si tratta di Mash Gill,
residente a Mardan, nella provincia settentrionale di Khyber Pakhtunkhwa, che avrebbe
ricevuto l’ultimatum: “Convertiti o morirai”. L’uomo è assistito dall’organizzazione
umanitaria Masihi Foundation, che si occupa già da tempo di Asia Bibi. “La storia
di Gill è una delle tante in questa assurda escalation di violenza che vede quotidianamente
morti e feriti e luoghi di culto tra i bersagli prescelti – testimonia alla Fides
il direttore Haroon Masih – sembra che nessuno intervenga e che le autorità civili
siano immobili”. Sulle stesse corde la testimonianza del segretario esecutivo della
Commissione Giustizia e pace dei vescovi pakistani, Peter Jacob: “È un momento difficile
per la comunità cristiana, oggetto di una campagna di odio e intolleranza – ha detto
– ma noi continuiamo a essere impegnati a denunciare e contrastare le discriminazioni
esistenti nella società”. (R.B.)