Libia: diplomazia al lavoro per disinnescare la crisi
Gli insorti libici fanno sapere di aver respinto le forze di Gheddafi fuori dalla
città di Brega, il canale satellitare Al Jazira sostiene che forze fedeli a Gheddafi
hanno bombardato il campo petrolifero di Misla, nell'est della Libia. La Nato fa sapere
che durante la giornata di ieri sono stati 58 gli “attacchi” compiuti in Libia. Sul
piano diplomatico, il ministro degli Esteri italiano Frattini ha incontrato il responsabile
per le questioni estere del Comitato di transizione dei ribelli e Gheddafi chiede
la collaborazione di Grecia, Malta e Turchia. Inoltre contatti sono stati stabiliti
tra Tripoli e Bengasi. Il servizio di Fausta Speranza:
L’Italia
riconosce il gruppo di Bengasi come unico interlocutore e non esclude, seppure come
“estrema ratio”, la possibilità di armare i ribelli libici. E’ quanto afferma Frattini
e c’è da dire che il portavoce dell'Alto rappresentante Ue per la politica estera
e di sicurezza puntualizza che per Bruxelles la posizione resta quella espressa nelle
conclusioni del Consiglio europeo dell'11 marzo scorso, secondo il quale il Cnt è
''un interlocutore''. Da parte sua, il rappresentante dei ribelli assicura che non
ci sarà spazio per Al Qaeda, che qualunque azione che porti ad una divisione della
Libia è inaccettabile così come è inaccettabile – aggiunge – qualsiasi iniziativa
politica che non porti alla fine del regime di Gheddafi". Sappiamo che Bengasi ha
anche respinto l'idea di una transizione condotta dal figlio del colonnello, Saif.
Ma mentre l’inviato diceva a Roma che l’Italia è importante per la Libia, da Bengasi
il capo dei ribelli in modo più esplicito ringraziava l’Italia per “il supporto alla
rivoluzione”. E c’è poi il piano diplomatico internazionale: sempre nelle ultime ore
l’emissario di Gheddafi è stato in Grecia e a Malta, potenziali mediatori con l'Unione
europea, incassando nel primo caso una timida disponibilità, nel secondo caso la richiesta
del cessate il fuoco come pre-condizione di ogni negoziato. Inoltre il rais punta
molto al ruolo della Turchia, pedina importante nella Nato. Ankara attende tra poco
l’inviato del rais ma fa sapere di aspettare anche l’inviato di Bengasi. Dunque possiamo
pensare che dalle armi si passi alla mediazione e a negoziati? Ne abbiamo parlato
con Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali e studi
strategici all’Università di Firenze:
R. –
Non credo che siamo passati al piano diplomatico, anche perché il piano diplomatico
e quello militare si intersecano e sono in sostanza le due facce di una medesima medaglia,
che è la medaglia della guerra e della pace per così dire, ovvero della politica delle
due forme, che la politica sempre assume e che non necessariamente sono antagoniste.
È certo che ci sia un tentativo finalmente per sforzarsi di risolvere questa situazione
che, a mio avviso, non è risolvibile sul piano militare, a meno di clamorose novità:
ad esempio, l’eliminazione fisica di Gheddafi, che poi è quello che almeno alcuni
partner nella coalizione, pur non dicendolo, hanno tentato di fare. Gheddafi gode
dell’appoggio di una parte sostanziosa – l’abbiamo visto - della sua popolazione,
della componente tribale, e quindi evidentemente non può essere eliminato con un semplice
intervento mirato “dall’alto”, quindi con il potere aereo.
D. – Quale
può essere il ruolo di Paesi terzi?
R. – Difficile dirlo. In questo
momento, evidentemente, è benvenuto il ruolo di chiunque riesca a porre fine a questa
che, a me francamente, fin dall’inizio, è sempre apparsa una rischiosissima, affrettata,
mal congegnata e pasticciata avventura. Sarebbe importante il ruolo di organismi come
la Lega Araba, la stessa Unione Europea. Devo dire che l’una mi sembra aver perseguito
piuttosto astutamente i propri interessi e l’altra mi è sembrata drammaticamente assente.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite evidentemente è intervenuta con la risoluzione
1973, ma come sempre in questi casi quella risoluzione si presta ad interpretazioni
e si è prestata ad interpretazioni diverse, estensive, persino improprie. La situazione
non mi sembra semplice. I contatti sono molteplici anche in queste ore. Spero ne possa
venir fuori qualche cosa. Mi pare evidente che, in questo momento, però, il negoziato
sia indispensabile anche perché il proseguimento della guerra sarebbe disastroso,
innanzitutto per la coalizione dei cosiddetti volenterosi, in termini di costi sia
umani che economici.
D. – Torniamo a Tripoli e Bengasi. Gli emissari
tra Tripoli e Bengasi sono davvero frutto di un’intenzione di negoziato oppure potrebbero
essere anche il modo per prendere tempo in strategie, arretramenti più o meno tattici
da ambo le parti?
R. – Credo che in questo momento, nel momento in cui
Gheddafi di fatto non è destinato alla sconfitta militare, ma ha anzi delle buone
prospettive di successo comunque di mantenere il controllo perlomeno della Tripolitania
- per non parlare poi del problema del Fezan - in questo caso, penso che il negoziato
avrebbe poche prospettive di successo. Come in ogni negoziato le parti dovrebbero
cercare di trovare una linea intermedia, un punto d’accordo che possa soddisfare entrambe.
Se questo punto d’accordo esiste davvero è da verificare sul campo, perché dall’altro
lato Gheddafi potrebbe anche nutrire la speranza di riacquisire per buona parte del
territorio il controllo e quindi di puntare anche lui sulla carta militare, ma naturalmente
quest’uomo ha già dimostrato nella propria vita, a più riprese, di essere molto attento
alle ragioni della forza, ahinoi, di essere disponibile anche a fare delle concessioni
rilevanti, pur di non perdere il potere e naturalmente pur di salvare la propria vita.
D.
– Nei giorni scorsi abbiamo visto l’inviato Onu a Bengasi. Oggi, il rappresentante
delle questioni estere del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi a Roma ha incontrato
il ministro degli Esteri italiano, Frattini. Ma la comunità internazionale che ha
da dire in questo momento ai ribelli?
R. – Il problema è che qui si
tratta di capire chi siano i ribelli davvero, che cosa vogliano, quali siano le componenti
effettivamente rilevanti dentro quel Consiglio Transitorio. Che cosa questo possa
portare davvero in termini negoziali, in termini di risultati, dipenderà evidentemente
dall’esito del confronto delle forze, del confronto sul campo, del confronto militare
e anche però del confronto diplomatico tra le parti in conflitto. In questo momento,
la situazione mi sembra ambigua e molto confusa, quindi, in una parola, pericolosa.
(ap)