2011-04-01 14:57:28

La Chiesa commemora il sesto anniversario della morte di Papa Wojtyla. Le parole di Benedetto XVI sul futuro Beato


La Chiesa si appresta a commemorare, domani, il sesto anniversario della morte di Giovanni Paolo II, guardando già con emozione alla ormai imminente Beatificazione del primo maggio. Tante le iniziative che già oggi celebrano la figura del futuro Beato: stamani, la figura di Papa Wojtyla è stata al centro di un Convegno alla Pontificia Università della Santa Croce. Stasera, poi, il pub “GP2”, voluto dal servizio per la pastorale giovanile della diocesi di Roma, inaugura una serie di appuntamenti in vista dell'evento del primo maggio. Infine, i Musei Vaticani, per l’occasione, saranno aperti anche di notte, dal 26 al 29 aprile e il 2 maggio. Ma torniamo indietro con la memoria. Nel servizio di Alessandro Gisotti, riascoltiamo le parole del cardinale Joseph Ratzinger e poi Benedetto XVI sulla morte e la testimonianza di Santità di Karol Wojtyla:RealAudioMP3

(Canto – Jesus Christ you are my life)

“Seguimi”. Cosa ha reso straordinario Giovanni Paolo II? Alle esequie celebrate in Piazza San Pietro, l’8 aprile del 2005, mentre il popolo di Dio lo invoca già Santo, il cardinale decano Joseph Ratzinger sottolinea che il Pontefice ha sempre risposto alla chiamata rivoltagli dal Signore. Lo ha seguito negli anni terribili della guerra e della dittatura, tra mille difficoltà. Lo ha seguito come sacerdote e poi vescovo, infine alla Cattedra di Pietro. Karol Wojtyla, osserva il suo amico e collaboratore, “è diventato una sola cosa con Cristo, il buon pastore che ama le sue pecore”:

“L’amore di Cristo fu la forza dominante nel nostro amato Santo Padre; chi lo ha visto pregare, chi lo ha sentito predicare, lo sa. E così, grazie a questo profondo radicamento in Cristo ha potuto portare un peso, che va oltre le forze umane: Essere pastore del gregge di Cristo, dalla sua Chiesa universale”.

Poi, con parole commosse, Joseph Ratzinger volge il cuore al cielo, parla direttamente all’amato Papa e chiede la sua benedizione:

“Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della Casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica, Santo Padre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madre di Dio, tua Madre”.

E Joseph Ratzinger, divenuto ora Benedetto XVI, nella Messa di inizio Pontificato torna ad affidarsi alla protezione e al sostegno del suo predecessore. E fa sua la vibrante esortazione di Giovanni Paolo II, risuonata in un’altra celebrazione di inizio Pontificato:

“Ancora, e continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di allora: ‘Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!’”

(Voce di Giovanni Paolo II)
“Non abbiate paura, anzi spalancate le porte a Cristo!”

(Canto)
La commozione, nel ricordare la morte di Giovanni Paolo II, è ancora viva nella memoria dei fedeli di tutto il mondo. Riviviamo, allora, quegli istanti della sera del 2 aprile del 2005 nelle parole di Rita Megliorin, all’epoca caposala del Policlinico “Agostino Gemelli”, che ha assistito Giovanni Paolo II nelle ultime ore della sua vita terrena. L’intervista è di Isabella Piro:RealAudioMP3

R. – Pensate ad un luogo dove non esiste lo spazio e dove non esiste il tempo, e pensate solo a tanta luce. A questo aggiungiamo tutti i canti che venivano da Piazza San Pietro, i canti che venivano dai suoi figli, le acclamazioni dei giovani che si facevano sempre più forti; pensate alla serenità che dà recitare una preghiera: ecco, questo è stato per me l’ultimo giorno. Oltre ad una mano che ricordo di aver preso e che poi mi sono adagiata sul viso, e che era un pochino più fredda rispetto a quella dei giorni precedenti, e che è stata la carezza che mi sono rubata dal Santo Padre, l’ultimo giorno della sua vita …

D. – Giovanni Paolo II ha affrontato la malattia con coraggio e dignità. Quale insegnamento lascia a tutti i malati, anche a quelli non credenti?

R. – L’insegnamento più grande, secondo me, è dato dal fatto di riconoscere nell’uomo malato una maggiore completezza, una maggiore capacità di leggere il senso vero della vita che in quel momento particolare sembra farsi più elevato. Giovanni Paolo II ci ha dimostrato che nel momento della sofferenza siamo ancora più vicini a Dio, tra le sue braccia. E le sue braccia amano, ci accolgono senza giudicare; e che Dio non abbandona nessuno, neanche l’ultimo dei suoi figli, neanche quello che non crede in lui. Giovanni Paolo II mi ha insegnato che il mistero della sofferenza merita il massimo rispetto da parte di chiunque, che l’uomo acquisisce con la malattia una dimensione superiore, proprio perché la malattia gli impone di riflettere sulla propria esistenza, sulle sue scelte – quelle di ieri, quelle di oggi e quelle che farà anche domani …

D. – Papa Wojtyla chiamava scherzosamente il “Gemelli” “il Vaticano III”, dopo la residenza di San Pietro e quella di Castel Gandolfo. Al di là della malattia, possiamo dire che fosse legato a questo ospedale da un particolare affetto?

R. – Eh, sì! Anche perché ha vissuto tanti momenti – i momenti forse più difficili – al Policlinico. Per noi, servire il Santo Padre è stato un dono. È stato anche molto facile servire il Santo Padre, perché il Santo Padre era un uomo buono, un uomo gioioso e aperto a tutti. E quindi, anche lui ci ha voluto bene!

D. – Come era il rapporto del Papa con gli altri ammalati, durante i suoi ricoveri?

R. – Il Papa ha continuato ad informarsi della situazione di tutti i malati, così come di tutti i suoi figli. Non ha mai smesso di occuparsi dell’altro: l’altro gli apparteneva, il dolore dell’altro gli apparteneva. Per come l’ho visto io, la sua Croce era l’insieme di tutte le Croci dei suoi figli e quindi non ha mai smesso di pregare per ognuna di quelle Croci.

D. – Qual era, secondo lei, il tratto più significativo del Papa, ma anche dell’uomo Karol Wojtyla?

R. – Credo che il tratto più significativo sia stato proprio la sua capacità di accogliere e perdonare, e lo faceva senza giudicare: da uomo, prima, e da pontefice. Giovanni Paolo II ha sempre guardato all’altro come fa un padre con i propri figli, che non dimentica mai le difficoltà di vivere dei propri figli. Lui conosceva le prove della vita – l’abbiamo visto, leggendo la sua storia - quindi non occorreva per lui, fare troppe domande. Apriva le braccia e tutto diventava diverso. Tra le sue braccia, diventavi un uomo nuovo, un uomo pulito. (gf)







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