2011-03-31 14:56:22

Taiwan: la Chiesa chiede di riprendere la moratoria sulla pena di morte sospesa nel 2010


Lo stupro e l’uccisione di una studentessa di 13 anni, di cui deve rispondere un maniaco sessuale, hanno rinfocolato le discussioni a Taiwan sulla pena capitale e sulla moratoria delle esecuzioni, che durava dal 2005 e che è stata interrotta lo scorso anno. Il Paese asiatico è dunque rientrato nel gruppo dei 23 Stati che hanno eseguito condanne a morte nel 2010, di cui documenta il rapporto annuale di Amnesty International. Ad aggravare la situazione, un sondaggio ha rilevato che il 70% dei cittadini taiwanesi sarebbero a favore della pena di morte. Dopo le dimissioni lo scorso anno del ministro Wang Ching-feng, responsabile della Giustizia, perché contraria alla pena di morte, il successore Tseng Yung-fu aveva fatto eseguire quattro condanne a morte nell’aprile 2010. Ed altre cinque esecuzioni vi sono state all’inizio di questo mese. Nel frattempo la Conferenza episcopale regionale – riferisce l’agenzia AsiaNews - ha chiesto al governo e ai cittadini di sospendere le esecuzioni, in attesa della completa abolizione della pena capitale, così da rispettare la dignità della persona umana e la sacralità della vita. Il presidente di Taiwan, Ma, ha detto la settimana scorsa che Taiwan continuerà ad eseguire condanne tra i detenuti nel braccio della morte, perché la legge del Paese vuole così, ma che il governo sta lavorando per ridurre l’uso della pena capitale. La dichiarazione di Ma è giunta dopo che il presidente dell’International Ombudsman Institute, Beverley Wakem, aveva dichiarato che la pena di morte viola i diritti umani. Amnesty International sostiene che i Paesi che continuano ad usare la pena di morte sono sempre più isolati. In totale 31 nazioni l’hanno abolita nel corso degli ultimi 10 anni. Fra gli Stati che vi fanno ricorso più di frequente ci sono Cina, Iran, Arabia Saudita, Stati Uniti e Yemen. Dopo la Cina, l’Iran è al secondo posto con 252 esecuzioni nel 2010; seguono Corea del nord (60), Yemen (53), Stati Uniti (46) e Arabia saudita (27). Il numero globale delle esecuzioni è sceso rispetto all’anno precedente, afferma Amnesty International, ma l’elenco non comprende la Cina, dove i dati sono tenuti segreti dal governo, e dove si ritiene che ogni anno abbiano luogo migliaia di esecuzioni. (A cura di Roberta Gisotti)







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