Costa d'Avorio: le truppe di Ouattara puntano su Abidjan. Il vescovo di Agboville:
grati per l'appello del Papa
In Costa D’Avorio il conflitto tra i miliziani di Gbagbo, il presidente uscente che
non vuole lasciare il potere, e quelli di Ouattara, il capo di Stato eletto, sta provocando
un dramma umanitario di proporzioni sempre più preoccupanti. In aumento i civili in
fuga dalle violenze. Si parla ormai di circa 500 mila persone. Una situazione di fronte
alla quale la comunità internazionale deve intervenire. Sul terreno, le milizie di
Ouattara hanno conquistato la capitale Yamoussoukro e puntano su Abidjan, mentre il
Consiglio di Sicurezza dell’Onu, allo scopo di salvaguardare la popolazione civile,
ha varato sanzioni contro Gbagbo. Sulla situazione umanitaria Giancarlo La Vella
ha parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:
R. - Stiamo
parlando di mezzo milione di persone che hanno lasciato le loro case fuggendo da combattimenti
terribili che si stanno verificando nell’ovest del Paese. Amnesty International negli
ultimi giorni ha lanciato un appello alla forza di peacekeeping dell’Onu in Costa
d’Avorio: ci sono almeno 10.000 civili che hanno trovato rifugio in una missione cattolica
a Douekoue, che si trova a soli due chilometri dalla base della missione Onu. Inoltre
ha chiesto massima protezione per queste persone perché sono rischio di rappresaglia
e c’è il rischio che finiscano di nuovo trascinate nel conflitto.
D.
- Come si sta provvedendo a livello della comunità internazionale?
R.
- L’attenzione della comunità internazionale in questo frangente, ovviamente, è rivolta
altrove ed è purtroppo grave il fatto che non si sia capaci di affrontare più di una
crisi per volta. Le persone sfollate, già a gennaio, erano state colpite, almeno 40
persone assassinate e diverse donne erano state vittime di stupro. Il 28 marzo, quando
le forze vicine ad Alassane Ouattara hanno preso il controllo della zona nel cuore
dell’area produttrice di cacao, sono finite di nuovo sotto i combattimenti,. Nella
città è stata tagliata l’elettricità, manca acqua, e le 10 mila persone che hanno
trovato rifugio nella missione cattolica hanno bisogno di aiuti umanitari immediati.
Questo vuol dire che la missione dell’Onu in Costa d’Avorio deve garantire, intanto,
la massima protezione a loro, assicurando che i civili vengano risparmiati. Inoltre,
bisogna organizzare corridoi sicuri per far affluire aiuti alle persone che si sono
rifugiate lì.
D. - Perché non si riesce a realizzare quella soluzione
che spesso risolve in Africa situazioni del genere, cioè quella del governo d’unità
nazionale?
R. - Perché la crisi della Costa d’Avorio è una crisi che
ha raggiunto un livello esasperato, è durata troppo. Adesso Ouattara e Gbagbo hanno
le loro milizie e il conflitto si è incancrenito con bande irregolari e gruppi paramilitari.
In questo contesto, purtroppo, solo una terza parte, cioè una missione di peacekeeping
dell’Onu con un mandato robusto per proteggere i civili può rimettere le cose a posto
e poi creare le condizioni di pace perché ci sia la soluzione politica che sia quella
di un governo di unità nazionale e quella di convincere Laurent Gbagbo ad uscire dalla
scena politica del Paese. (bf)
Ieri il Papa, durante l’udienza generale
in Piazza San Pietro, ha lanciato un accorato appello per la pace in Costa d’Avorio.
Com’è stato accolto nel Paese? La collega Marie-Agnès Georges lo ha chiesto
a mons. Alexis Touabli Youlo, vescovo di Agboville:
R. – Nous
sommes très reconnaissants au Saint Père pour son message … Siamo profondamente
grati al Santo Padre per il messaggio che ha voluto rivolgere a noi tutti, suoi figli
della Costa d’Avorio, di ogni confessione religiosa. Credo che la Costa d’Avorio tutta
attendeva questo messaggio da parte del padre di tutti, il Papa Benedetto XVI. A lui
il nostro grande “grazie”.
D. – Cosa può fare la Chiesa in Costa d’Avorio
per favorire la pace?
R. – L’Eglise, depuis le déclanchement de la crise
a agi e continue d’agir dans … Fin dall’inizio della crisi, la Chiesa ha
agito e continua ad agire in diversi modi. Attraverso la parola: ricordo che i vescovi
hanno pubblicato prima delle elezioni un messaggio alla nazione. E poi attraverso
la preghiera e l’impegno in ambito caritativo. Come si sa, ci sono centinaia di migliaia
di sfollati in fuga dalle violenze. Ebbene, si rivolgono quasi automaticamente, come
per un riflesso naturale, alla Chiesa che ha accolto in varie parti del Paese migliaia
di sfollati.
D. – Si ha l’impressione che lo scontro tra le parti potrebbe
trasformarsi in uno scontro tra religioni: è vero?
R. – Je ne pense
pas que ça puisse prendre cette … Non credo che la situazione possa prendere
la piega del conflitto religioso, perché da sempre musulmani e cristiani hanno vissuto
in pace: questa non è una cosa di “ieri”, ma ha radici profonde. Non è difficile trovare
tra i membri di una stessa famiglia, ed in molte famiglie, musulmani e cristiani.
Quindi, non si tratta assolutamente di un conflitto religioso, anche se alcuni politici,
animati da cattive intenzioni, tendono a voler conferire al conflitto in atto una
connotazione religiosa. Ma sul terreno, qui non c’è nessun conflitto tra cristiani
e musulmani! (gf)