2011-03-31 15:18:29

Altri civili vittime della guerra in Afghanistan


Altri due civili sono stati uccisi oggi dai soldati americani in Afghanistan nella città di Kandahar: secondo le forze Usa, i due avrebbero forzato un posto di blocco con il loro autoveicolo ferendo tre militari. Secondo le autorità locali si sarebbe trattato di un semplice incidente. Ieri due bambini e due donne erano rimasti uccisi accidentalmente in un attacco della Nato mirato contro milizie degli insorti nel sud dell'Afghanistan. Intanto nel Paese si cerca di ricostruire il tessuto sociale ed economico, grazie anche alla collaborazione di Organizzazioni che operano sul posto. Come la Fondazione Pangea Onlus che difende i diritti delle donne e ha avviato a Kabul il progetto Jamila di microcredito. Francesca Smacchia ha raggiunto telefonicamente in Afghanistan Simona Lanzoni, responsabile dei progetti Pangea nel Paese:RealAudioMP3

R. – Fondazione Pangea proprio in questi giorni ha dato vita ad un’organizzazione femminile locale: Afghan Women Social Service. Dopo tutti questi anni di lavoro, le ragazze che sono sempre a fianco a noi hanno deciso di aprire una loro organizzazione e questo per noi è un enorme motivo di orgoglio: vuol dire che pian piano anche loro imparano ad incrementare il progetto che viene sempre supportato da Fondazione Pangea. Questo è il processo in atto anche in Afghanistan, in generale: pian piano le truppe straniere se ne vanno; pian piano si pensa sempre di più che le istituzioni debbano prendere in mano la situazione del loro Paese. Il problema è che non tutti sono formati ed hanno una buona preparazione, come dovrebbe essere, e allo stesso tempo c’è ancora molta corruzione. Fondazione Pangea sta vedendo un enorme bisogno, che continua ad esserci all’interno della società. Parlando, in questi giorni che mi trovo a Kabul, con le donne, continua ad esserci un bisogno di sviluppo economico enorme, mentre qui invece si continua a parlare - e Karzai stesso ne parla - di un passaggio, per la questione che riguarda la sicurezza, dalle truppe straniere ai militari afghani e alla polizia afghana.

D. – Che clima si respira in questo momento?

R. – Da un lato, la società civile dice “sì, dobbiamo prendere in mano il nostro Paese” e, dall’altro, c’è anche un grande dubbio sulle reali possibilità di poterlo fare, perché comunque loro pensano che nel momento in cui andranno via i militari, diminuiranno pesantemente i fondi per la ricostruzione e per portare avanti e sviluppare questo Paese. Quindi, c’è sempre la paura, l’ombra e lo spettro del ritorno dei talebani e del rallentamento di quello che è stato fatto fino ad ora. C’è, per esempio, in questi giorni – e sono molto contenta di potervi partecipare come Fondazione Pangea – una conferenza su il ruolo della società civile nel processo decisionale di pace qui in Afghanistan. E c’è un’enorme domanda nel dire “Non poniamo l’accento solo sulla sicurezza: poniamo l’accento su quale sia il ruolo della società civile per migliorare questo Paese”.

D. – In questo contesto le donne oggi che ruolo hanno, che ruolo possono svolgere?

R. – E’ stato molto interessante il fatto che, comunque, dei partecipanti oltre la metà siano donne. All’interno di questa società civile le donne sono realmente la metà della società, quello che è poi realmente nella vita quotidiana. C’è una parola dell’Afghan Women network, una rete di oltre 75 organizzazioni, di cui fa parte anche l’Organizzazione di Fondazione Pangea, che chiaramente ha rivendicato il fatto che le donne siano stanche di avere solo un ruolo simbolico e che vogliono realmente essere parte del processo di pace, di costruzione. Ma la cosa davvero interessante, a mio avviso, è che gli uomini di questa parte di società civile più di una volta hanno invocato l’importanza della partecipazione delle donne. Mi sembra che si stia comunque aprendo una nuova prospettiva in un pezzo di realtà afghana che molto spesso non è conosciuta. (ap)







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