Altri due civili sono stati uccisi oggi dai soldati americani in Afghanistan nella
città di Kandahar: secondo le forze Usa, i due avrebbero forzato un posto di blocco
con il loro autoveicolo ferendo tre militari. Secondo le autorità locali si sarebbe
trattato di un semplice incidente. Ieri due bambini e due donne erano rimasti uccisi
accidentalmente in un attacco della Nato mirato contro milizie degli insorti nel sud
dell'Afghanistan. Intanto nel Paese si cerca di ricostruire il tessuto sociale ed
economico, grazie anche alla collaborazione di Organizzazioni che operano sul posto.
Come la Fondazione Pangea Onlus che difende i diritti delle donne e ha avviato a Kabul
il progetto Jamila di microcredito. Francesca Smacchia ha raggiunto telefonicamente
in Afghanistan Simona Lanzoni, responsabile dei progetti Pangea nel Paese:
R. – Fondazione
Pangea proprio in questi giorni ha dato vita ad un’organizzazione femminile locale:
Afghan Women Social Service. Dopo tutti questi anni di lavoro, le ragazze che sono
sempre a fianco a noi hanno deciso di aprire una loro organizzazione e questo per
noi è un enorme motivo di orgoglio: vuol dire che pian piano anche loro imparano ad
incrementare il progetto che viene sempre supportato da Fondazione Pangea. Questo
è il processo in atto anche in Afghanistan, in generale: pian piano le truppe straniere
se ne vanno; pian piano si pensa sempre di più che le istituzioni debbano prendere
in mano la situazione del loro Paese. Il problema è che non tutti sono formati ed
hanno una buona preparazione, come dovrebbe essere, e allo stesso tempo c’è ancora
molta corruzione. Fondazione Pangea sta vedendo un enorme bisogno, che continua ad
esserci all’interno della società. Parlando, in questi giorni che mi trovo a Kabul,
con le donne, continua ad esserci un bisogno di sviluppo economico enorme, mentre
qui invece si continua a parlare - e Karzai stesso ne parla - di un passaggio, per
la questione che riguarda la sicurezza, dalle truppe straniere ai militari afghani
e alla polizia afghana.
D. – Che clima si respira in questo momento?
R.
– Da un lato, la società civile dice “sì, dobbiamo prendere in mano il nostro Paese”
e, dall’altro, c’è anche un grande dubbio sulle reali possibilità di poterlo fare,
perché comunque loro pensano che nel momento in cui andranno via i militari, diminuiranno
pesantemente i fondi per la ricostruzione e per portare avanti e sviluppare questo
Paese. Quindi, c’è sempre la paura, l’ombra e lo spettro del ritorno dei talebani
e del rallentamento di quello che è stato fatto fino ad ora. C’è, per esempio, in
questi giorni – e sono molto contenta di potervi partecipare come Fondazione Pangea
– una conferenza su il ruolo della società civile nel processo decisionale di pace
qui in Afghanistan. E c’è un’enorme domanda nel dire “Non poniamo l’accento solo sulla
sicurezza: poniamo l’accento su quale sia il ruolo della società civile per migliorare
questo Paese”.
D. – In questo contesto le donne oggi che ruolo hanno,
che ruolo possono svolgere?
R. – E’ stato molto interessante il fatto
che, comunque, dei partecipanti oltre la metà siano donne. All’interno di questa società
civile le donne sono realmente la metà della società, quello che è poi realmente nella
vita quotidiana. C’è una parola dell’Afghan Women network, una rete di oltre 75 organizzazioni,
di cui fa parte anche l’Organizzazione di Fondazione Pangea, che chiaramente ha rivendicato
il fatto che le donne siano stanche di avere solo un ruolo simbolico e che vogliono
realmente essere parte del processo di pace, di costruzione. Ma la cosa davvero interessante,
a mio avviso, è che gli uomini di questa parte di società civile più di una volta
hanno invocato l’importanza della partecipazione delle donne. Mi sembra che si stia
comunque aprendo una nuova prospettiva in un pezzo di realtà afghana che molto spesso
non è conosciuta. (ap)