Libia: controffensiva delle milizie di Gheddafi, insorti in ritirata nonostante i
raid della coalizione
Armare gli insorti e ipotesi di esilio per il colonnello Muammar Gheddafi. Le proposte
all’indomani del vertice di Londra, in cui i Paesi della coalizione internazionale
hanno stabilito i principi politici della strategia per la Libia del dopo rais. Sul
fronte, i ribelli sono stati costretti a ripiegare mentre le truppe di Gheddafi riprendono
Ras Lanuf. Il servizio di Francesca Smacchia:
Il giorno
dopo la Conferenza di Londra sulla Libia si accende il dibattito sulla possibilità
di armare i ribelli. Il presidente americano Obama non esclude questa ipotesi anche
perché – aggiunge - è troppo presto per parlare di negoziati con il colonnello. L’Europa
si divide: la Francia concorda, per l'Italia occorrerebbe una nuova risoluzione Onu,
la Russia, la Norvegia e il Belgio, invece, si dicono contrari all'ipotesi che la
Nato armi le forze dell'opposizione libica. Londra non esclude di armare i ribelli.
E se il presidente americano dice che Gheddafi ha i giorni contati mentre si apre
il possibile scenario dell’esilio del rais di Tripoli, il capo di Stato italiano,
Napolitano, giudica negativo che i paesi dell'Ue si siano divisi e parla di errore
nel non creare una difesa comune. Anche il ministro degli Esteri Frattini giudica
grave la mancanza di solidarietà da parte dello Stato francese. Stamani la Nato ha
cominciato all'alba a lanciare i primi ordini operativi a destinazione delle unità
impegnate nella campagna aerea libica, con la prospettiva di compiere il passaggio
di consegne del comando, dalla 'coalizione dei volenterosi' all'Alleanza, in tempi
molto rapidi. Intanto resta alta la tensione sul campo. Nelle ultime ore si registra
la controffensiva delle forze di Gheddafi, gli insorti in difficoltà arretrano nonostante
i continui raid aerei della coalizione contro l’esercito di Tripoli. Le truppe fedeli
al rais hanno attaccato Misurata con razzi e cannoni dei carri armati, 18 le vittime.
Già oggi l'artiglieria delle forze del colonnello aveva riconquistato il sito petrolifero
di Ras Lanuf costringendo i ribelli ad abbandonare le postazioni e fuggire verso Est.
Secondo quanto riferisce la Bbc, inoltre, i caccia della coalizione hanno effettuato
raid contro i carri armati delle truppe fedeli al regime nella zona di Uqaylah.
Alla
Conferenza di Londra sulla Libia ha partecipato anche la Santa Sede, rappresentata
dal nunzio apostolico in Gran Bretagna, mons. Antonio Mennini.Francesca
Sabatinelli lo ha raggiunto telefonicamente nella capitale britannica chiedendogli
di commentare gli esiti dell’incontro:
R. – E’ stato
sottolineato come le operazioni militari abbiano una legittimità - e quindi anche
un limite - nella necessità di difesa, di salvaguardia dei diritti civili e dell’incolumità
della popolazione libica: nella misura in cui questa esigenza dovesse essere soddisfatta
o non essere più presente l’operazione militare potrebbe finire anche domani. Poi,
quello che riterrei importante - a parte la costituzione di un gruppo di contatto,
che ha una dimensione più politica, anche se il suo allargamento sta a significare
non tanto un coinvolgimento tecnico-militare di altri Paesi, ma quanto un coinvolgimento
in una prospettiva futura, che riguardi la costruzione, anche se in nuce, di una road
map per quello che sarà la nuova Libia – è importante, dicevo, il fatto che l’aiuto
umanitario - che non dovrà limitarsi come normalmente può accadere in situazioni di
emergenza all’invio di derrate alimentari oppure medicinali - avrà una gamma molto
più vasta: cioè si intende davvero dare una mano alla Libia nel ricostruire le infrastrutture,
i ponti, le case, gli ospedali, i centri dei media. Mi sembra che un altro elemento
importante sia il fatto che tutto questo, con l’aiuto umanitario internazionale, verrà
coordinato direttamente dalla segreteria generale dell’Onu, attraverso un inviato
speciale del segretario generale dell’Onu. Mi sentirei di dire, quindi, che mentre
la parte più strettamente politica e militare rimane appannaggio di strutture fondamentalmente
militari, questa dimensione umanitaria sembra risollevare la questione della vocazione
fondamentale di tutta la comunità internazionale a prendersi cura delle esigenze anche
fondamentali e primarie di una popolazione oggi estremamente prostrata.
D.
– Lei accennava al gruppo di contatto del quale faranno parte anche il Qatar e gli
Emirati Arabi Uniti, tanto che la prossima riunione si svolgerà proprio in Qatar.
Che importanza hanno questi Paesi, secondo lei, all’interno del gruppo?
R.
– Il Qatar ha sottolineato il fatto che vorrà giocare un ruolo di liaison con molti
altri Paesi arabi, rilevando come - anche se parecchi non erano presenti a Londra
- il sostegno alla risoluzione dell’Onu che si è avuto qualche settimana fa durante
la riunione della Lega Araba sia stato massiccio. Questo mi sembra importante. Secondo,
un elemento non meno importante: questo gruppo di contatto è aperto, anzi si auspica
che ad esso partecipino in modo attivo l’Unione Europea, l’Unione Africana, l’Organizzazione
degli Stati del Golfo e altri organismi internazionali. Sarà una struttura che è chiaro
che avrà poi un nucleo centrale direttivo, aperto però alla collaborazione di tutti,
perché il suo compito è soprattutto quello di tentare di disegnare un futuro politico
per la Libia attraverso dei passi concreti e cadenzati intermedi e rapportandosi principalmente
al Consiglio provvisorio libico, senza escludere però nessuna componente della società
libica e in questo caso nessun gruppo etnico, nessun gruppo tribale o tanto meno nessun
gruppo religioso, per quanto minoritario. (ap).
A conclusione dei lavori
della Conferenza di Londra sulla Libia sembra aprirsi ora un lungo percorso di iniziative
diplomatiche dirette a riportare la stabilità nel Paese nordafricano. I prossimi appuntamenti
del gruppo di contatto sono previsti in Italia e in Qatar, anche se tutto sembra ancora
legato all’incognita del conflitto militare. Stefano Leszczynski ha intervistato
Luigi Bonanate, docente di relazioni internazionali all’Università di Torino.
R. – Ho
paura che la situazione debba passare attraverso un’evoluzione ancora un po’ più complicata.
La crisi libica, dal primo giorno in cui è scoppiata, non ha fatto altro che sorprenderci,
coglierci in contropiede. A noi è sembrata che fosse partita, questa nuova ondata,
questa valanga, che avrebbe travolto un po’ per volta tutti gli autoritarismi. Quindi,
il problema è: non c’è soltanto la Libia di cui occuparci. Siamo di fronte ad una
pagina storica di straordinaria importanza.
D. – Il pericolo, quello
che tutti temono, è una spaccatura in due del Paese e quindi una guerra civile permanente.
C’è questo rischio?
R. – Sì. Anche perché la Libia, curiosamente, pur
essendo essenzialmente desertica, è divisa storicamente e geograficamente in due regioni:
Cirenaica e Tripolitania. Il rischio è quello: Gheddafi viene, come sappiamo, dalla
Tripolitania. Ovviamente, la Cirenaica è quella che si è ribellata e liberata, per
cui il rischio di un incistamento di questa situazione di conflitto civile è molto
alto.
D. – Quale potrebbe essere una chiave per riportare la Libia alla
stabilità nel più breve tempo possibile, oltre all’azione militare?
R.
– Io non credo che possa essere tanto lungo il periodo in cui questa situazione si
protrarrà ancora. Intanto, i sia pur limitati attacchi occidentali producono indubbiamente
un indebolimento del regime di Gheddafi. Non dimentichiamo, poi, che Gheddafi si appoggia
tuttora su un ceto di mercenariato che lo ha molto aiutato nei primi giorni. I mercenari,
annusando l’aria, si rendono conto che tra un po’ non converrà più appoggiare Gheddafi
e quindi è verosimile che un po’ per volta i mercenari tendano a scomparire.
D.
– Le Nazioni Unite sono state coinvolte in questa crisi; si stanno muovendo bene?
R.
– Non dobbiamo mai dimenticare un presupposto fondamentale: l’Onu è ciò che gli Stati
vogliono che essa sia. Non c’è dubbio che la crisi attuale dell’Onu sia nata nel 2003,
con la decisione americana di dire al Consiglio di Sicurezza che c’erano le armi di
distruzione di massa che non c’erano. E se noi guardiamo questi ultimi otto-nove anni,
da allora l’Onu è praticamente scomparsa dalla scena. Da allora, l’Onu ha cercato
di rimettere il capo fuori dal suo Palazzo di Vetro per la prima volta con questa
questione. Non è stata una ripresa di grande brillantezza; però, c’è stata. Il lato
positivo di tutto ciò è, secondo me, il fatto che l’Onu ha incominciato rimostrare
una sua soggettività e anche la possibilità di riassumere una posizione di protagonismo
internazionale, di mediazione, intermediazione e direzione della vita internazionale.
(gf)