Accorato appello del Papa per la pace in Costa d'Avorio: centinaia i morti, decine
di migliaia i profughi
Il Papa ha lanciato oggi, durante l’udienza generale in Piazza San Pietro, un accorato
appello per la Costa d’Avorio, colpita da una sanguinosa guerra tra opposte fazioni
politiche che dal novembre scorso ha causato oltre 500 morti e mezzo milione di profughi.
Il servizio di Sergio Centofanti.
“Depuis
longtemps, ma pensée va souvent aux populations….” E’ da molto tempo – ha
affermato il Papa - che il suo pensiero si rivolge alle popolazioni della Costa d'Avorio,
“afflitte da dolorose lotte interne e da gravi tensioni sociali e politiche”. Esprime
la sua vicinanza a quanti hanno perso i propri cari e “soffrono a causa della violenza”.
Lancia quindi “un pressante appello affinché si intraprenda il più presto possibile
un processo di dialogo costruttivo per il bene comune”.
“L’opposition
dramatique rend plus urgent…” Lo scontro drammatico – ha sottolineato -
rende più urgente il ristabilimento del rispetto e della convivenza pacifica. Nessuno
sforzo deve essere risparmiato in questo senso”. Il Papa annuncia quindi la sua decisione
di inviare “in questo nobile Paese”, il cardinale Peter Turkson Kodwo, presidente
del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, al fine di esprimere la sua
“solidarietà e quella della Chiesa universale alle vittime del conflitto e incoraggiare
la riconciliazione e la pace”.
“Siamo felici per le parole del Santo Padre
e lo ringraziamo per questo. Speriamo che la sua voce sia ascoltata”: è quanto ha
affermato all’Agenzia Fides mons. Jean-Pierre Kutwa, arcivescovo di Abidjan. Nel Paese
africano la cronaca delle ultime ore parla di nuovi scontri tra le milizie del presidente
uscente, Laurent Gbagbo, che non vuole lasciare il potere, e quelle del presidente
eletto, Alassane Ouattara, la cui vittoria, al ballottaggio del novembre scorso, è
stata internazionalmente riconosciuta. Le truppe di quest’ultimo si stanno avvicinando
ad Abidjan e Yamoussoukro, rispettivamente capitale economica e politica del Paese.
A migliaia i civili che fuggono dalle violenze. Fonti missionarie parlano di circa
30 mila persone rifugiate in un complesso religioso cattolico attorno alla chiesa
di Duekoue e molti hanno ferite da arma da fuoco. In questa situazione, quante possibilità
ci sono per una ripresa del dialogo? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Enrico
Casale, della rivista dei Gesuiti “Popoli”:
R. – In questo
momento non molte, perché sembra che ormai la parola sia passata alle armi. Il rischio
è che se non interviene la Comunità internazionale, possa esserci uno scontro molto
duro direttamente nelle città. Proposte reciproche di unità nazionale sono state fatte
più volte negli ultimi periodi, ma non so se esista la reale volontà di superare la
crisi. Ognuno dei due contendenti è arroccato su posizioni che non sembrano discutibili,
quindi mi sembra che spesso queste proposte siano un po’ pretestuose.
D.
– Ti sembra che di fronte a questa crisi, che ha dei risvolti umanitari drammatici
, la Comunità internazionale sia rimasta un po’ fredda?
R. – La Comunità
internazionale ha subito riconosciuto la vittoria di Ouattara: sia l’Unione Africana,
sia l’Onu, sia i principali Paesi coinvolti nella crisi, in particolare penso alla
Francia. Probabilmente in questo momento la Comunità internazionale è distratta dalle
rivolte del Nord Africa e quindi certamente ha prestato poca attenzione. In questi
giorni, la Francia ha avanzato la richiesta al Consiglio di Sicurezza di aumentare
la forza della missione Onu presente in Costa d’Avorio, una forza Onu che possa, intanto,
frapporsi fra le milizie dei contendenti e poi possa favorire un ritorno al dialogo.
D.
- A questo punto, è auspicabile che le forze vive del Paese che sono molte e sono
operative, intervengano in questa crisi?
R. - Certamente, anche se nella
società civile c’è molto timore di questi combattimenti. Penso alle comunità religiose
- sia quelle cristiane, ma anche quelle musulmane - che hanno dato un contributo forte
per la pace, ma in questo momento sono strette ad un angolo dai combattimenti. Testimonianze
di sacerdoti cattolici che vivono ad Abidjan, raccontano di comunità religiose che
vogliono stare vicino alla popolazione, ma temono dure ripercussioni sulle proprie
abitazioni, ma anche contro le loro stesse persone. Molti di questi religiosi non
sono neanche ivoriani, sono stranieri e quindi, a maggior ragione, temono possibili
conseguenze da parte dei miliziani, particolarmente ostili nei confronti degli occidentali
in generale, ma anche degli africani non ivoriani. (ma)
Intanto sul terreno
ivoriano non tacciono le armi. Continua l’avanzata delle milizie di Ouattara che ieri
hanno conquistato la capitale Yamoussoukro e ora puntano su Abidjan. Il servizio di
Giulio Albanese: