2011-03-28 14:28:30

I problemi irrisolti del Sudan: ancora tensioni, dopo il referendum che ha sancito l’indipendenza del Sud del Paese


Dopo il referendum, che ha sancito la separazione del Sud Sudan dal resto del Paese, non accennano a diminuire le tensioni. Nei giorni scorsi violenti combattimenti tra l'esercito del Sud e gruppi di ribelli, nelle regioni petrolifere, hanno causato decine di vittime. A questa situazione si aggiungono i problemi mai risolti con Khartoum proprio sul controllo dei giacimenti di petrolio. Per il Paese, in guerra dalla fine del colonialismo, negli anni ’50, rimane ancora in piedi anche la questione del Darfur, altra regione martoriata dai conflitti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa all’Università degli Studi di Torino:RealAudioMP3

R. – Il referendum ha confermato la volontà della popolazione del Sud di diventare autonoma, ma non ha risolto una serie di problemi molto gravi, molto delicati che reclamano una soluzione e che stanno provocando delle tensioni, soprattutto nelle zone di confine tra Nord e Sud. Il primo problema è come il Sud Sudan e il Sudan si spartiranno i proventi del petrolio, che sono il grande oggetto del contendere. Il Sud ha gran parte dei giacimenti, ma non ha modo di commercializzarli; in più ci sono problemi tribali secolari che complicano ulteriormente il quadro e che proprio in questi mesi hanno reso alcune regioni di confine particolarmente insicure e, come sempre succede in Africa, le componenti politiche in conflitto non perdono l’occasione di approfittare di queste tensioni per ottenere dei risultati.

D. – Perché, nonostante un referendum svoltosi con l’accordo di tutte le parti si continua a confrontarsi con le armi e non attraverso il dialogo politico?

R. – In generale, in Africa, c’è una difficoltà storica da parte dei contendenti a trovare delle soluzioni politiche e il ricorso alle armi è una costante del continente a partire dall’indipendenza.

D. – E qual è la situazione in Darfur?

R. – Ormai è un conflitto a bassissima intensità; è, però, anche questa una situazione in stallo, che per il momento non sembra possa trovare una soluzione; un conflitto, che in questo momento è uno dei peggiori dell’Africa, perché si parla di milioni di persone sfollate o fuori dal Paese e di alcune centinaia di migliaia di morti.

D. – Quali gli interessi in gioco in questo caso?

R. – Qui, da un lato, nuovamente, c’è una situazione secolare di conflitto tra etnie che hanno esigenze di uso diverso del territorio. In più a squilibrare la situazione e a suscitare il conflitto, nel 2003, si è messo il governo, che ha deciso di sostenere le popolazioni di origine araba contro quelle di origine africana, nell’ambito di quello stesso processo di arabizzazione del Paese, che è stato all’origine della guerra civile in Sud Sudan, conclusa con gli accordi globali di pace del 2005.

D. – Qualsiasi situazione di conflitto in Africa porta con sé un’emergenza umanitaria grave...

R. – Il Darfur è una situazione gravissima: ci sono milioni di persone che non vivono più a casa loro messi in fuga dalla paura di essere vittime di violenza e che vivono nei campi profughi allestiti dalle Nazioni Unite. E’ una situazione relativamente stabile, perché comunque la popolazione vive in questa situazione non certo invidiabile, ma relativamente sicura. Il problema grave in Sudan, come in altri Paesi, si ha quando non è possibile allestire un’assistenza efficiente e, quindi, chi fugge, fugge allo sbando, fugge praticamente con quello che riesce a portare con sé in mano, e quindi si trova senza neanche un tetto, sprovvisto di tutto e bisognoso di tutto. E’ quello che succede anche in Somalia da più di 20 anni. (ap)







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