Dal "Cortile dei Gentili", la riflessione del cardinale Ravasi sull’idea di laicità
in rapporto ai ‘venti’ riformatori nel mondo arabo
Dopo Parigi, saranno Tirana e Firenze ad accogliere il “Cortile dei Gentili”, e poi
molte altre città in tutto il mondo, che si sono già offerte di ospitare quest’iniziativa,
volta a rilanciare il dialogo tra credenti e non credenti, fortemente voluta da Benedetto
XVI e che ha già riscosso, la scorsa settimana, un grande successo nella capitale
francese. Roberta Gisotti ha intervistato il cardinale Gianfranco Ravasi,
presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, responsabile dell’innovativo progetto:
D. - Eminenza,
quali suggestioni, emerse da queste giornate inaugurali, intendete approfondire nei
prossimi appuntamenti?
R. – L’atmosfera di Parigi è stata di grande
aiuto per poter iniziare questo itinerario. C’è stata una partecipazione, soprattutto
nell’orizzonte intellettuale, molto forte e molto intensa. A Parigi avevamo veramente
tutti gli ambiti possibili, tutti i punti cardinali, che andavano dalla cultura alla
società, dai temi scientifici ai temi del diritto, dall’arte alla spiritualità. Poi
c’è stata quella conclusione così solenne, con i giovani, nella grande piazza davanti
a Notre-Dame. Questo orizzonte così complesso, così vasto, così mutevole, ora noi
vorremmo, in un certo senso, renderlo più specifico, svilupparlo per settori. Ed è
per questo che vorremmo cominciare a Tirana, erede di un Paese – l’unico al mondo
- che ha avuto nella sua Costituzione l’ateismo, come ateismo di Stato in maniera
ufficiale, e che ora invece si trova in un’altra prospettiva. Vorremmo iniziare magari
più specificatamente sul tema del rapporto tra società e spiritualità o indifferenza
religiosa. Questo sarà il primo, ma poi ci allargheremo su temi più specifici. Firenze
sarà l’Università in quanto tale, poi ci sarà Barcellona, Stoccolma, Valencia, Quebec,
Praga e anche Milano. E’ una sorta di calendario che cresce sempre di più e si ramifica
e che in ogni caso diventa sempre più settoriale nel dialogo tra credenti e non credenti.
D.
– Il Papa nel suo videomessaggio, trasmesso a Parigi, ha detto che le religioni non
devono avere paura di una laicità giusta e aperta, che lascia ognuno libero di credere
o no, rispettosa di fronte al diritto di tutti a rimanere fedeli alle proprie convinzioni,
e in fraternità con l’altro. Questa indicazione porta a riflettere anche sugli avvenimenti
che stanno attraversando in questo periodo il mondo arabo, dove abbiamo società fortemente
impregnate dalla religione islamica, che ora vengono aprendosi alla libertà e quindi
anche alla libertà religiosa...
R. – Questo tema è sicuramente un tema
di grande rilievo, perché c’è il rischio che un popolo cercando, in qualche modo,
di liberarsi dalla teocrazia, la quale cancella la laicità, unendo trono e altare
- come spesso succedeva in questi Paesi, o almeno in alcuni di essi - togliendo perciò
certe forme marcatamente di unificazione tra la cultura e la religione, alla fine
si abbia un vuoto, un vuoto interiore, un vuoto di ordine generale, che non è soltanto
religioso e spirituale, è un vuoto anche culturale. Per questo credo che il tema della
laicità anche in questi Paesi – la corretta laicità – diventerà sicuramente uno dei
temi capitali. Devo dire che a Parigi io ho vissuto un’esperienza abbastanza suggestiva,
perché nel pranzo ufficiale, che mi ha offerto lo chancelier della Sorbona - il grande
rettore magnifico di tutte le Università, tra l’altro, di Parigi - uno dei temi che
è emerso alla presenza di grandi figure della cultura francese è stato proprio questo:
la laicità, che è effettivamente molto più vissuta con rigore e con apertura in Francia
di quanto non accada per esempio in Italia, dove ancora, forse, lo scontro tra clericalismo
e anticlericalismo è quasi sotteso a questo discorso. Speriamo perciò che, non solo
per questi Paesi, che sono ora in questo momento di travaglio, ma anche per noi stessi,
ci sia la possibilità di una rimeditazione su questo, che è uno dei temi fondamentali
del dialogo tra credenti e non credenti. (ap)