Monaci di Tibhirine: la testimonianza dell'ultimo confratello sopravvissuto all'eccidio
“Ciò che è successo è opera di Dio … parlo per la memoria dei miei confratelli e perché
sarebbe bello che la loro esperienza fosse conosciuta, amata”: si è espresso con queste
parole, in una intervista concessa alla testata www.leprogres.fr, frate Jean-Pierre
Schumacher, l’ultimo dei monaci francesi sopravvissuto della comunità trappista di
Tibhirine, in Algeria, dove, nella notte tra il 26 e 27 marzo del 1996, 7 religiosi
sono stati rapiti e poi uccisi. Frate Jean-Pierre, 87 anni, oggi nel monastero di
Nostra Signora dell’Atlas, a Midelt, in Marocco, racconta di essersi chiesto per molto
tempo il perché del suo diverso destino rispetto a quello dei suoi confratelli e di
avere trovato risposta soltanto in una lettera ricevuta da una badessa: “Ci sono dei
fratelli ai quali è stato chiesto di testimoniare con il dono della loro vita, ce
ne sono altri ai quali è chiesto di testimoniare attraverso la loro vita”. Per il
religioso gli eventi di Tibhirine insegnano che il martirio è come una prova d’amore,
come prova di fedeltà. “I nostri confratelli sono morti perché hanno scelto di restare
– dice frate Jean-Pierre – questa fedeltà è costata loro la vita. Questo dono, che
è giunto fino all’estremo, era considerato una eventualità per la quale erano pronti,
qualunque cosa fosse accaduta”. Il religioso trappista confida inoltre di essersi
molto emozionato nel vedere il film “Des hommes et des dieux” sulla storia della comunità
algerina di cui faceva parte e ne ha apprezzato il fedele contenuto sottolineando
che la pellicola lascia emergere la convivialità, la condivisione, la mutua e calorosa
accoglienza tra credenti dell’islam e discepoli di Cristo realmente vissuta a Tibhirine,
un messaggio di apertura a Dio, non solamente nella preghiera, ma anche nella sottomissione
coraggiosa nella quotidianità e nel pericolo. (T.C.)