2011-03-25 15:54:26

Manifestazioni in Siria: decine di arresti


Giornata di proteste antigovernative oggi in diverse città della Siria, al termine della preghiera islamica del venerdì. A Damasco la polizia è intervenuta per disperdere i manifestanti, mentre media locali riferiscono di diversi arresti. Raduni anche nel centro di Daraa, nel sud, dove le forze dell’ordine hanno impedito l’accesso ai giornalisti stranieri e dove si contano una quarantina di vittime negli ultimi sette giorni. Nelle ultime ore il presidente Bashar al-Assad ha promesso la revoca dello stato d’emergenza e una serie di riforme, in linea con le richieste della piazza. Quanto sta avvenendo in Siria allarma tuttavia la comunità internazionale già alle prese con la crisi libica. Stefano Leszczynski ha intervistato Antonio Ferrari, inviato speciale ed analista del Corriere della Sera:RealAudioMP3

R. - La prima considerazione che mi viene da fare è che la Siria non ha ricchezze, non ha risorse energetiche, cosa che invece ha la Libia e sappiamo anche quanto queste risorse contino. Certo, dal punto di vista prettamente politico, la Siria conta più della Libia: non soltanto all’interno del mondo arabo ma anche come stabilità della regione. Ecco perché, politicamente, forse è più preoccupante, al di là della guerra in corso in Libia, per segnalare il disagio nel mondo arabo.

D. - Le monarchie del Mediterraneo sono più stabili delle repubbliche. Tuttavia, diciamo che le misure che i giovani re del Marocco e della Giordania ed i presidenti dei Paesi dove ci sono delle proteste sono simili: tutti puntano su delle riforme sociali che però non cambiano radicalmente la situazione nel Paese…

R. - Assolutamente sì. Poi alla promessa di riforme sociali - penso soprattutto alla Siria, ma potrebbe accadere anche alla Libia - c’è veramente da credere poco. Più che altro è un problema sociale. In Siria - come in altri Paesi - è un problema anche politico, non soltanto perché la Siria può allungare i suoi tentacoli sul Libano come ha fatto e come continua a fare - non solo quindi per la sua collocazione -, ma anche perché la Siria rappresenta un punto di riferimento sostanziale di tutto quello che potrebbe produrre il rilancio del processo di pace.

D. - Quanto è avvenuto nell’Africa settentrionale rispetto a quello che sta avvenendo nel Medio Oriente, le differenze sono grandi. Soprattutto le ricadute, in Medio Oriente, potrebbero essere molto più gravi a livello regionale…

R. - Queste sono rivolte di popolo, dove non c’è un obiettivo violento ma c’è voglia di libertà, e questo è bellissimo. Però attenzione: il problema è sempre pensare a chi ci mette il cappello dopo. Mettere il cappello, soprattutto in Medio Oriente, può diventare pericoloso. Non è che l'integralismo islamico è improvvisamente svanito, o, anzi, ce lo siamo inventato; l’integralismo islamico esisteva e, forse, probabilmente, esiste ancora. Ecco perché bisogna essere cauti e far funzionare la ragione più che le emozioni. (vv)







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