2011-03-23 12:09:14

Libia: a Misurata nuovi attacchi delle forze di Gheddafi e raid della coalizione. Parigi: alla Nato ruolo tecnico


In Libia, proseguono i bombardamenti della coalizione internazionale, ma anche gli scontri tra i ribelli e le truppe fedeli a Gheddafi. A Misurata nelle ultime ore sono morte 16 persone, tra cui 5 bambini. Intanto dopo l’accordo raggiunto tra Stati Uniti, Gra Bretagna e Francia, la Nato fa sapere di essere pronta ad agire quando verrà richiesto. Ma Parigi precisa: all’Allenaza Atlantica solo un ruolo tecnico, non la guida politica. Intanto all’Italia è stato affidato il comando della componente marittima della missione Nato per il rispetto dell’embargo delle armi. Cecilia Seppia 00:01:25:80

In Libia si continua dunque a combattere e a Tripoli, bersaglio in questi giorni di diversi raid notturni, si vive oggi una situazione di calma surreale. E' quanto sottolinea Cristiano Tinazzi, giornalista freelance raggiunto telefonicamente nella capitale libica da Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3

R. – Come tutti gli altri giorni, dopo i fuochi della contraerea e i bombardamenti, al mattino la città si risveglia tranquillamente, con un traffico regolare, i negozi aperti e i mercati pieni di gente. I bombardamenti che vengono effettuati, comunque, a parte la caserma di Bab al Aziziya che si trova in città, sono in periferia. L’altro ieri sono stati colpiti dei magazzini della Marina militare, che si trovano nella zona portuale di Tripoli. Noi giornalisti siamo andati a vedere. Si tratta di magazzini dove venivano tenuti degli automezzi russi per il trasporto di missili e tutto il materiale per i pezzi di ricambio. E’ un magazzino-deposito, dove non ci sono armi utilizzabili.

D. – Dopo i raid, voi giornalisti spesso siete portati sui luoghi di questi bombardamenti. C’è il rischio che possiate diventare ‘scudi umani’ inconsapevoli?

R. – Quando hanno bombardato la caserma di Bab al Aziziya c’è stato questo rischio, perché subito dopo il 'tomahawk' che è arrivato sul compound, hanno organizzato un autobus per portarci nella caserma. Io ed altri giornalisti italiani e qualche collega straniero ci siamo rifiutati, perché ritenevamo la situazione non completamente sicura. Gli altri sono andati e poi abbiamo saputo, appunto, che all’ultimo è stato rinviato un attacco che era previsto proprio sulla caserma. E’ chiaro che se c’è la presenza dei giornalisti è difficile che le forze della coalizione possano bombardare. Ma se manca un avviso nella catena di comando, per noi questo rischio diventa concreto.

D. – Soffermiamoci anche sul possibile futuro della Libia. Oggi la Tripolitania e la Cirenaica sono due volti nettamente distinti di questo Paese. Se ci sarà un post Gheddafi, quali saranno le priorità, proprio per cercare di ricomporre questo mosaico libico?

R. – Stanno cercando di utilizzare i consigli tribali per trovare una soluzione pacifica al conflitto che sta avvenendo in queste settimane. E’ stata organizzata una grande marcia verso Bengasi, una marcia pacifica non organizzata né dal governo né dai comitati popolari, ma dal Consiglio popolare e sociale. Si tratta di una sorta di organismo che raggruppa tutte le tribù del Paese e al quale hanno aderito anche i Warfalla. Infatti, in questo momento, ci troviamo a Beni Oualid, che è una roccaforte dei Warfalla, la tribù che in questo scenario è profondamente divisa. In ogni caso, questo è indicativo del fatto che alcune tribù, che all'inizio si erano staccate, si stanno riavvicinando, forse anche a causa dei bombardamenti stranieri: questo Paese non accetta ingerenze esterne. (ap)

L’accordo raggiunto tra le potenze alleate per affidare alla Nato il controllo delle operazioni militari sulla Libia ha messo in luce tutte le difficoltà politiche che caratterizzano questo sistema di alleanza militare, rischiando di comprometterne l’efficacia. Stefano Leszczynski ha intervistato Paolo Quercia, esperto di questioni internazionali.RealAudioMP3

R. - Il punto importante è che c’è stato un accordo politico tra Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna. Il contenuto di questo accordo, però, deve ancora essere meglio specificato e condiviso da tutti gli altri Paesi Nato anche perché, dai comunicati comparsi, si parla di un comando integrato della Nato a sostegno delle forze della coalizione, la "coalizione dei volenterosi" che comprende anche Paesi non-Nato.

D. - La situazione nuova che il conflitto con la Libia ha messo in luce è un po’ questa disgregazione di intenti all’interno dell’Alleanza Atlantica. Insomma, è un’alleanza tutt’altro che granitica …

R. - Da questa vicenda la compattezza politica dell’Alleanza Atlantica ne esce un po’ compromessa. Si registrano, tra i Paesi Nato, almeno tre o quattro comportamenti diversi: dalla neutralità nei riguardi delle operazioni Nato - che non comporta poi un’interdizione - come il caso della Germania; alla posizione turca, che invece prevede una contrarietà all’intervento al di là dello stretto supporto umanitario e forse al blocco navale; ed infine all’Italia, che invece vuole riportare tutto sotto la Nato, senza lasciare nessuna guida politica esterna dell’operazione. C’è poi la Francia, che vuole piuttosto procedere utilizzando strutture Nato ma con una comando politico della coalizione espresso a livello di ministri degli Esteri.

D. - A livello regionale c’è il pericolo che la guerra civile libica possa, in qualche modo, allargarsi e contagiare i Paesi limitrofi?

R. - Il grande rischio che pone la Libia è il collasso, proprio per l’atipicità del sistema statale libico, ed anche la possibilità che vengano messi in discussione i confini stessi della Libia, con un effetto-domino molto pericoloso, non tanto verso Tunisia ed Egitto quanto verso altri Paesi dell’Africa Subsahariana.

D. - Quindi, in sostanza, quei Paesi che hanno dei conti in sospeso con il regime di Gheddafi potrebbero approfittarne per una rivalsa anche territoriale …

R. - Certo. E’ chiaro che c’è questo rischio se nella continuità e nella transizione non si mantengono in piedi delle strutture statali, se i confini non sono presidiati, se non c’è più un’amministrazione. In passato ci sono state guerre tra Libia e Paesi contermini, ci sono discorsi di risorse che possono essere rimessi in gioco e rivendicati ... (vv)

La situazione umanitaria in Libia resta drammatica: sono migliaia le persone in fuga nell’est del Paese che abbandonano le loro case. Molti attraversano il confine con l’Egitto nel timore anche di rappresaglie da parte dei sostenitori del governo. A raccontarlo sono gli operatori dell’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati che si trovano al confine libico-egiziano. Prestare assistenza, dicono, è una vera e propria sfida. Francesca Sabatinelli ha intervistato Lawrence Yolles, delegato dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) per il sud Europa.RealAudioMP3

R. – E’ difficile dare dati molto precisi. E’ chiaro che ci sono stati gruppi di persone, soprattutto famiglie, che sono andate verso la frontiera egiziana. Finora sono 15 mila i libici – non solo negli ultimi giorni, però – che hanno attraversato la frontiera egiziana e sono andati verso l’interno dell’Egitto. Quindi, l’Egitto ha le frontiere abbastanza aperte. Naturalmente, in molti c’è timore di rappresaglie e quindi c’è gente che ha cominciato a partire. Devo anche dire, però, che almeno negli ultimi due giorni, la frontiera con l’Egitto è stata relativamente tranquilla.

D. – Sappiamo che dovrebbe esserci personale dell’Unhcr in Egitto, che accoglie queste persone. In che condizioni sono?

R. – Le condizioni non sono buone: devo dire che sono molto difficili e in effetti stiamo negoziando con le autorità egiziane per avere il permesso di poter migliorare le condizioni alla frontiera, dalla parte egiziana. Questi permessi arrivano con il contagocce, quindi in realtà non ci sono ancora, ma pensiamo che nel futuro la situazione migliorerà. Non ci sono i campi che normalmente noi avremmo auspicato, e che avremmo aiutato a mettere in piedi dalla parte egiziana, e soprattutto credo che gli egiziani considerino quella parte della frontiera sostanzialmente come un transito e non un posto dove la gente possa rimanere per lungo tempo. In effetti, abbiamo visto già 137 mila persone attraversare quella frontiera, di cui però un gruppo abbastanza grande, 79 mila - quindi la maggior parte - sono egiziani che dalla Libia ritornano in Egitto, e in più ci sono tra i 15 e i 20 mila libici. I libici possono entrare e finora quelli che sono entrati sembrano potersela cavare: sembra che abbiano i mezzi per continuare all’interno dell’Egitto e trovare la loro via. Pensiamo, però, che se la situazione dalla parte di Bengasi continuerà così, con questa sorta di assedio che c’è stato negli ultimi giorni, è possibile che si comincino a vedere arrivare dei gruppi di libici, che non hanno i mezzi che avevano i primi 20 mila e che avranno bisogno di un sostegno più solido. I gruppi di persone che arrivano alla frontiera egiziana e che hanno un problema molto, molto maggiore sono quelli che non possono continuare - eritrei, somali, sudanesi, le persone che per diverse ragioni non vogliono ritornare nei loro Paesi d'origine – e che quindi sono praticamente bloccati lì. Poi ci sono persone di altre nazionalità, di cui le ambasciate o i governi non si stanno occupando immediatamente. Per esempio, il Bangladesh è uno di questi Paesi. Si sta sviluppando una tensione tra gruppi di altri Paesi, che sono lì alla frontiera, che vorrebbero partire, ma che non hanno i mezzi per farlo. Noi stiamo organizzando, insieme all’Organizzazione internazionale per le migrazioni, dei viaggi: ci sono aerei continui che partono sia dall’Egitto che dalla Tunisia per portare le persone nei loro Paesi di origine.

D. – Queste persone, che non possono permettersi di circolare, di trovare un riparo con i loro mezzi, in che situazione sono?

R. – Non ci sono le strutture adatte: non sono molto solide e non hanno i nostri standard. Quindi, dal punto di vista igienico, dal punto di vista sanitario e dell’organizzazione è un po’ un disastro.

D. – Lei ha parlato di trasporto aereo che avete organizzato per le persone; invece, per quanto riguarda l’invio di aiuti di prima necessità prevedete qualcosa?

R. – Sì, stiamo stabilendo dei piani di intervento, soprattutto sulla frontiera con l’Egitto, e stiamo già predisponendo viveri e altri beni di prima necessità, che stiamo portando dai nostri depositi a Dubai e immagazzinando nelle vicinanze, per poterli utilizzare nell’eventualità di un grande esodo dalla Libia verso l’Egitto. Stiamo, dunque, approntando dei piani d’intervento che presto potremo condividere con i vari governi. (ap)







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