Libia, le opinioni degli esperti: serve azione di polizia non di guerra
La speranza generale è che questa nuova fase della crisi libica, con il coinvolgimento
della comunità internazionale, duri il tempo necessario per ristabilire il rispetto
dei diritti umani della popolazione civile e del diritto all’autodeterminazione del
popolo libico. Su questo aspetto, Giancarlo La Vella ha raccolto il parere
di Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana:
R. - Ho qualche
dubbio che questa operazione duri proprio pochissimo, perché di solito le dittature
sembrano non conoscere la parola ragionevolezza, la parola resa, la parola compromesso.
Temo che Gheddafi, prima di rassegnarsi al fatto che la comunità internazionale lo
voglia fuori dalla Libia, sacrificherà ancora molti dei suoi e cercherà di tenere
duro ancora per diverso tempo.
D. - Da parte della coalizione internazionale
sarà possibile agire con operazioni mirate, "chirurgiche" o – come sembra sia già
avvenuto – c’è il rischio di un coinvolgimento esteso della popolazione civile?
R.
- Il coinvolgimento della popolazione civile ci sarà di sicuro e in parte sarà, credo,
cercato anche da Gheddafi, per far ricadere sulla comunità internazionale almeno la
responsabilità delle vittime civili. Questo delle operazioni chirurgiche, come abbiamo
visto dal Kosovo all’Iraq, è esclusivamente un mito. Ci può essere molta attenzione,
ma i civili ci andranno di mezzo di sicuro e questo va detto subito. E’ una ipocrisia,
questa, che dobbiamo assolutamente rifiutare.
D. - A questo punto,
si può già immaginare, nel caso vi sia la caduta del regime di Gheddafi, quale potrà
essere il prossimo assetto istituzionale della Libia?
R. - Questo è
molto difficile da dire. Io credo che il discorso vada allargato al di fuori dei confini
della Libia: il progetto è quello di un nuovo Maghreb, un po’ più democratico e sicuramente
molto più aperto all’influenza degli Stati Uniti e dei Paesi, evidentemente, che si
sono schierati in prima linea in questa operazione. Credo che a questo punto – per
quanto sia doloroso e ai limiti del cinismo dirlo – la questione militare sia importante,
ma sia la minore delle questioni: la questione vera è quale sarà l’assetto del Maghreb
domani, con una Tunisia liberata da Ben Alì, l’Egitto liberato da Mubarak e la Libia
liberata da Gheddafi. (mg)
E le prime immagini dei raid aerei francesi,
diffuse dalle emittenti televisive di tutto il mondo, hanno ricordato molto da vicino
quelle, drammatiche e ancora vive nella memoria di tutti, delle operazioni militari
in Iraq. Ma come ha vissuto la popolazione di Tripoli questo primo giorno di bombardamenti?
Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Cristiano Tinazzi, uno dei pochi
giornalisti stranieri rimasti nella capitale libica:
R. - Ieri
notte, la contraerea del governo libico ha iniziato a sparare, con i traccianti che
solcavano nel cielo per cercare di intercettare - vanamente - i missili cruise che
colpivano la parte est di Tripoli. Non è stata colpita, come è stato invece inizialmente
riferito dalle agenzie di stampa, la caserma dove risiede il presidente Gheddafi,
la caserma Bab al-Azizia.
D. - Qual è la reazione della popolazione
libica, almeno a Tripoli? Si riconoscono ancora nel rais?
R. - La popolazione
ha reagito quasi in modo paradossale: ieri sera, decine di auto e di persone sono
uscite in strada, manifestando a favore del regime, cantando canzoni di guerra e ridendo.
Forse si è trattato anche di una reazione in parte isterica, ma che comunque contraddistingue
la volontà di voler resistere fino alla fine in questa che è ormai una guerra a tutti
gli effetti. Ieri sera, ho avuto un colloquio telefonico con una persona che conosco
da anni, che fa il professore universitario, e mi ha detto: “da oggi sono un soldato!”;
mi ha fatto sentire lo scarrellamento del suo kalashnikov e mi ha detto che stava
andando sulle montagne a sud di Tripoli a combattere. (mg)
Difesa dei civili
con tutti i mezzi. E’ quello che chiedono con forza le Nazioni Unite. Ma quanta certezza
c’è che questo intervento armato sia veramente di carattere umanitario e che quindi
possa essere considerato legittimo? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto ad
Antonio Papisca, docente di Relazioni internazionali dell'Università di Padova:
R. - Nel
caso specifico della Libia, c’è un principio, sempre più affermato nel diritto della
comunità internazionale, e cioè la responsabilità di proteggere la popolazione civile,
che viene massacrata. Qui siamo in presenza di una decisione adottata dal Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite e sollecitata non soltanto da singoli Stati, ma addirittura
da organizzazioni internazionali regionali: dalla Lega degli Stati arabi e dalla stessa
Organizzazione della Conferenza islamica e, alla fine, anche dall’Unione Europea.
E’ molto importante, quindi, la piattaforma legale, la legittimazione anche formale:
ci troviamo di fronte a una legittimazione a tutto tondo. In questo caso specifico,
si deve sottolineare come l’Onu abbia funzionato - e quindi il Consiglio di sicurezza
- da entità legittimante. La stessa Onu, poi, agirebbe in termini di coordinamento
politico dell’operazione, attraverso un qualcosa che è invece nuovo nella prassi:
il Consiglio di sicurezza, con la Risoluzione 1970 e con la Risoluzione 1973, ha istituito
una sorta di “cabina di regia” al plurale, dove troviamo insieme gli Stati, le organizzazioni
regionali, ai quali si aggiunge l’Unione Europea. Ci troviamo di fronte ad un caso
nuovo.
D. - Nella Risoluzione che legittima la no-fly-zone è
specificato che l’operazione non deve tradursi in occupazione territoriale…
R.
- Qui ha funzionato la lezione dell’Iraq e di altre vicende belliche avventurose.
Il fatto di escludere l’occupazione territoriale deve sgombrare l’orizzonte da velleitarismi
post-colonialisti. Bisogna che anche i generali, oltre che i politici, si mettano
nell’ottica dell’uso del militare per fini di polizia militare internazionale: l’atteggiamento
da usare è l’animus iustitiae e non l’animus destruendi che significa,
prima di tutto, salvaguardia della vita delle popolazioni e significa poi perseguire
i presunti criminali. (mg)