Proteste nel mondo arabo. La polizia yemenita spara sui manifestanti: oltre 30
morti
É di almeno 32 morti e centinaia di feriti il bilancio della sparatoria avvenuta oggi
nella centralissima piazza del Cambiamento a Sanaa, capitale dello Yemen. La polizia
yemenita ha aperto il fuoco contro i manifestanti scesi in piazza per chiedere le
dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da 32 anni. Il sit-in va avanti
da settimane: sono circa 300 i manifestanti e gli agenti di polizia rimasti feriti
durante le proteste.
Bahrein Continua la protesta antigovernativa
in Bahrein dove, oggi, migliaia di manifestanti sono scesi in piazza a Diraz, nel
nord-est, nonostante i divieti imposti dal regime e anche a Manama il funerale di
un attivista morto nei giorni scorsi è stato occasione di scontri. A dare man forte
all’esecutivo, intanto, sono arrivate anche truppe provenienti dal Qatar, mentre Iran
e Siria, riunite in un vertice a Teheran, esortano le autorità del Bahrein a intraprendere
la via del dialogo.
Arabia Saudita Centinaia di sciiti sauditi sono
tornati in piazza, ieri sera, in solidarietà con le manifestazioni nel Bahrein che
da un mese stanno protestando contro il governo sunnita dei Khalifa, alleato della
casata sunnita dei Saud. La folla è stata poi dispersa dalle forze dell’ordine tramite
l’utilizzo di lacrimogeni. Intanto oggi il re Abdullah, in una rara apparizione televisiva,
si è rivolto alla nazione avvertendo che le forze di sicurezza colpiranno ogni sedizione
e promettendo un pacchetto di aiuti per i cittadini.
Siria È stata
dispersa dalla polizia, oggi, una manifestazione a Damasco indetta contro il regime
baatista al potere da quasi 50 anni. I manifestanti si erano riuniti nei pressi della
Grande moschea degli Omayydadi.
Tunisia La rivoluzione tunisina è
stata “un evento storico” e “un esempio da seguire”. Così ieri il segretario di Stato
americano, Hillary Clinton, durante l’incontro a Tunisi con il presidente della Repubblica
ad interim, Foued Mebazaa. Nel Paese, intanto, è stata abolita la festa nazionale
del 7 novembre, istituita per celebrare la salita al potere dell’ex presidente, Ben
Alì.
Algeria Proteste ieri in Algeria, dove la gente è scesa in piazza
nella città petrolifera di Hassi Messaoud per manifestare contro un ufficio di collocamento
accusato di corruzione. La violenta repressione dei gendarmi ha causato una quindicina
di feriti.
Costa D’Avorio Resta alta la tensione in Costa d’Avorio,
dove alcune zone della vasta area di Abidjan, roccaforte di Ouattara, riconosciuto
a livello internazionale come il vero vincitore delle ultime elezioni, sono finite
sotto il tiro dell'artiglieria pesante dell'esercito ancora fedele al presidente uscente
Gbagbo. E mentre sale a 410 il numero delle vittime degli scontri tra le fazioni politiche,
la Commissione europea ha aumentato da 5 a 30 milioni di Euro l'aiuto destinato alla
popolazione. Secondo le ultime stime, sono circa 380 mila le persone che hanno dovuto
abbandonare le loro case a causa delle violenze. Il servizio di Giulio Albanese:
Se due giorni
fa Ouattara aveva manifestato la disponibilità a formare un governo di unità nazionale
con Gbagbo, ieri ha fatto decisamente marcia indietro, riconoscendo gli ex ribelli
delle forze nuove come il vero esercito ivoriano e dunque delegittimando i militari
fedeli al suo avversario, che non vuole saperne di lasciare il potere. A questo punto,
considerando gli effetti della crisi per l’ordine pubblico, la coesione sociale e
la governabilità del Paese, è necessario non perdere tempo, anche perché la paralisi
è pressochè totale. Al momento, è difficile avere un quadro della situazione sul campo,
anche perché si combatte in varie zone della vasta area metropolitana di Abidjan,
per non parlare degli scontri che si segnalano sul versante occidentale del Paese.
E le divisioni non sono solo tra Gbagbo e Ouattara, ma anche interne, sia all’Unione
africana che alle Nazioni Unite. Pechino in particolare, ha interessi commerciali
importanti in Costa D’Avorio, e vorrebbe mantenere una posizione quanto meno di neutralità
per evitare ripercussioni sugli affari legati al petrolio e al cacao, di cui è produttore
la Costa d’Avorio.
Pakistan É salito a 44 morti il bilancio delle
vittime di civili del raid del drone americano avvenuto ieri nel Waziristan del Nord,
in Pakistan. Il governo ha duramente condannato l’attacco e ha chiesto agli Stati
Uniti una spiegazione sul grave incidente. Sempre oggi in Pakistan, almeno 5 militanti
islamici sono stati uccisi nella valle di Swat in scontri con l'esercito. Altri 4
agenti paramilitari sono stati invece feriti nell'esplosione di un ordigno improvvisato
led nel distretto di Khyber, vicino al confine afghano.
Immigrazione: nuovi
sbarchi di immigrati a Lampedusa Dopo una tregua durata poco meno di 48 ore
sono ripresi gli sbarchi di immigrati sull’isola di Lampedusa. Sono tre le imbarcazioni
arrivate sull’isola, tra la scorsa notte e questa mattina, l’ultima intorno alle 11
e 30. Oltre 100 gli immigrati nordafricani soccorsi dalla Guardia di Finanza, che
si vanno ad aggiungere ai 2mila e 800 immigrati sbarcati a Lampedusa nei giorni scorsi.
Intanto, un'altra motovedetta della Capitaneria di porto sta assistendo un barcone
a 25 miglia dall'isola.
Italia Manifestazioni in tutta Italia, ieri,
per celebrare la Festa dei 150 anni dell’unità nazionale. Dopo l’omaggio all’Altare
della Patria, il momento più importante nel pomeriggio, in Aula a Montecitorio, con
il discorso solenne, davanti alle Camere riunite, del capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Ce ne parla Giampiero Guadagni:
“L’Italia
è una sola”: è stato un appello all’orgoglio e alla fiducia quello inviato dal capo
dello Stato, nel suo discorso a Montecitorio. Per Napolitano potranno essere superate
tutte le prove, a condizione che operi nuovamente un forte cemento nazionale unitario.
E a tal proposito il presidente della Repubblica ha parlato di federalismo, che potrà
garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali,
rinnovando e rafforzando le basi dell’unità nazionale. Va poi superato il divario
tra nord e sud, che - ha rimarcato ancora Napolitano - è uno dei problemi maggiori
ereditati dall’unificazione. In aula la Lega era presente solo con un parlamentare
e quattro ministri, fra i quali i quali il leader Umberto Bossi: una diserzione che
ha provocato la dura reazione dell’opposizione. Ma il parlamento si è ritrovato unito
nell’applauso finale al capo dello Stato, così come un forte applauso ha accompagnato
il passaggio in cui Napolitano ha citato Papa Benedetto XVI e ha ricordato che il
rapporto con la Chiesa cattolica rappresenta uno dei punti di forza su cui possiamo
fare leva per il consolidamento della coesione ed unità nazionale. (Panoramica
internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale
della Radio Vaticana Anno LV no. 77