L'Onu apre all'intervento militare e la Libia dichiara il cessate il fuoco immediato.
Gli insorti: è un bluff
Dopo la risoluzione dell’Onu che apre la strada ad un intervento militare in Libia,
le autorità di Tripoli hanno dichiarato il cessate il fuoco immediato. Le forze libiche
fedeli a Muammar Gheddafi hanno sospeso tutte le operazioni militari per garantire
la protezione dei civili, in linea con la risoluzione delle Nazioni Unite. Ma nuovi
scontri, questa mattina, si sono registrati in varie aree del Paese. Il servizio di
Amedeo Lomonaco:
Il cessate
il fuoco arriva dopo ore di violenti scontri. Fonti dell’opposizione hanno riferito
che le forze fedeli al colonnello Gheddafi hanno nuovamente attaccato stamani Misurata,
unica città ad ovest ancora controllata dagli insorti. Secondo fonti ospedaliere,
almeno 4 persone sono morte in seguito ai bombardamenti. Altri scontri si sono registrati,
sempre questa mattina, anche in località a sud della capitale. Poco prima di questi
ultimi combattimenti, il governo francese aveva reso noto che sarebbe stata applicata,
in tempi rapidi, la risoluzione delle Nazioni Unite. Anche ora, dopo il cessate il
fuoco dichiarato da Tripoli, la Francia rimane cauta. La minaccia sul terreno - precisa
Parigi - non è cambiata. Per gli insorti l'annuncio del regime è un "bluff".
Resta
quindi ancora da valutare la risoluzione, approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu,
che autorizza l’imposizione di una 'no-fly zone' sulla Libia “con tutti i mezzi a
disposizione”, incluso il ricorso all’uso della forza. Il testo è stato approvato
con 10 voti a favore e 5 astenuti (Russia, Cina, Brasile, India e Germania) e nessun
voto contrario. La decisione dell’Onu è stata accolta con canti e grida
di giubilo dagli insorti a Bengasi, ultima roccaforte dell'opposizione. Sull’altro
fronte il governo libico, prima di dichiarare il cessate il fuoco immediato, aveva
chiuso il proprio spazio aereo e definito la risoluzione una “minaccia” alla propria
unità. Il ministro della Difesa di Tripoli ha anche minacciato attacchi al traffico
aereo e marittimo nel Mediterraneo in caso di azioni militari contro la Libia. Seif
al-Islam, uno dei figli di Muammar Gheddafi, ha ribadito che la sua famiglia non “ha
alcuna paura” della “no-fly zone” imposta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite e di un eventuale attacco multinazionale. Dopo la dichiarazione del cessate
il fuoco immediato da parte della Libia, si aspetta la mossa della comunità internazionale.
Gli ambasciatori dei 28 Paesi della Nato si riuniscono oggi a Bruxelles per
esaminare la risoluzione.
In riferimento al testo approvato dall'Onu,
gli Stati Uniti sottolineano, in un comunicato, che la “Libia deve subito ottemperare
a tutte le richieste della risoluzione”. Il ministro degli Esteri della Germania ha
dichiarato che le truppe tedesche non interverranno in Libia. Norvegia, Francia
e Belgio hanno annunciato, invece, che prenderanno parte ad un eventuale attacco.Il Qatar è stato il primo Paese arabo ad annunciare che parteciperà ad un intervento
militare per assicurare la no-fly zone. L’Italia è pronta a mettere a disposizione
basi e aerei ed il Canada invierà sei velivoli da guerra. La Cina ha espresso
riserve sulla risoluzione dell’Onu. L'ipotesi di un imminente attacco aereo
in Libia ha messo in allerta anche le piazze finanziarie. Secondo diversi esperti,
in un mercato già messo a dura prova dalla crisi del debito europeo, dalle rivolte
in Africa e Medio Oriente e poi dal terremoto e dall'allarme nucleare in Giappone,
il rischio di uno scontro prolungato nel cuore del Mediterraneo potrebbe innescare
una nuova ondata di vendite nelle Borse, un altro balzo dei prezzi petroliferi e,
soprattutto, tensioni sui titoli di Stato.
In Libia gli stranieri stanno
lasciando il Paese. Sacerdoti e religiosi hanno invece deciso di restare al fianco
della popolazione. Si vivono, in particolare, ore di grande apprensione a Bengasi.
Ma anche a Tripoli la tensione resta alta. Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente
nella capitale libica il giornalista freelance Cristiano Tinazzi:
R. - Tutti
sono in attesa dell’arrivo dei bombardieri: tra l’altro, l’ambasciata italiana ha
dato l’ordine di evacuare il personale ed anche per noi giornalisti è abbastanza difficile.
Siamo in mezzo ai due fuochi ed è difficile valutare anche le reazioni della popolazione,
se e quando ci saranno questi bombardamenti, che ormai son dati per certi. La situazione
è abbastanza irreale. Adesso siamo bloccati in hotel, per questioni di sicurezza:
oggi è venerdì, quindi giornata di preghiera, e non si sa come potrebbe reagire la
gente nei nostri confronti. E’ chiaro che i Paesi che hanno contribuito ad avallare
questa decisione delle Nazioni Unite saranno considerati responsabili e quindi responsabili
anche gli organi di stampa e i cittadini stessi.
D. - Dunque, appare
scontato l’attacco da parte delle truppe governative fedeli al leader Gheddafi sulla
città di Bengasi, dove ci sono ancora gli insorti. A questo punto diventa anche cruciale
capire se quest’attacco ci sarà e se sarà, in qualche modo, arginato da un intervento
da parte dell’Onu…
R. - E’ chiaro che è una corsa contro il tempo. Questo
tipo d’intervento è stato inutile, perché è arrivato tardi: ormai le forze fedeli
a Gheddafi sono alle porte di Bengasi e se riusciranno a prendere Tobruk, Bengasi
sarà chiusa in un sacco, isolata dal confine egiziano e in quel caso l’intervento
militare, da parte appunto della Comunità internazionale, potrà colpire solo l’aviazione
libica. Quello che è chiaro è che c’è una corsa contro il tempo da entrambe le parti.
D.
- In questa corsa contro il tempo, come appare il governo di Tripoli?
R.
- L’impressione che si ha in Tripolitania è che sia abbastanza saldo, che non ci siano
crepe all’interno della struttura militare politica. E’ chiaro che adesso la pressione
internazionale dovrà portare ad una via d’uscita da questo empasse: ma Gheddafi,
comunque, in queste situazioni è sempre imprevedibile.
D. - Gheddafi,
appunto, è sempre imprevedibile. Sono temibili concretamente le minacce libiche di
attacchi nel Mediterraneo, in caso di un’azione militare in Libia da parte delle Nazioni
Unite?
R. - E’ difficile valutarlo. Le forze armate libiche sono abbastanza
antiquate. Sappiamo che hanno dei sommergibili che, però, non sono di ultima generazione,
e quindi, difficilmente potranno portare a segno delle azioni militari, anche se,
appunto, la minaccia di colpire obiettivi civili, allarga il campo di azione delle
forze di Gheddafi. Quindi, c’è questa paura, ma non si capisce come e quando potrà
venire concretizzata. (ma)
La risoluzione delle Nazioni Unite è stata dunque
approvata con margini d’intervento più ampi della sola imposizione di una “no-fly
zone”. A Stefano Silvestri, presidente dello Istituto Affari Internazionali
Stefano Leszczynski ha chiesto se si stia per aprire un nuovo fronte militare
per l’Occidente:
R. - Siamo
ancora in una fase un po’ confusa, a mio avviso, però certamente questo significa
un aumento di una certa tensione e probabilmente anche una possibilità di arrivare
ad un congelamento della guerra civile.
D. - Si è aspettato fino all’ultimo
prima di intervenire: c’è una strategia dietro tutto questo?
R. - Secondo
me molto poco; secondo me non c’era una volontà vera di intervento: Gheddafi ha talmente
forzato la mano nella situazione che, alla fine, l’intervento è diventato inevitabile.
Molto probabilmente la preferenza generale sarebbe stata di tipo diplomatico, ma che
con Gheddafi si è rivelata assolutamente impossibile.
D. - A questo
punto da parte di molti Paesi occidentali resta la preoccupazione forte di quello
che sarà il futuro delle relazioni economiche e commerciali con la Libia…
R.
- Sì e d’altra parte questo riguarda, poi, in particolare l’Italia, che aveva delle
ottime relazioni con il governo libico e soprattutto grossi interessi economici a
cominciare da quelli legati ai contratti petroliferi e non solo per l’estrazione,
ma anche per l’esportazione. Devo dire che, dal momento in cui ci eravamo allineati
alla mozione sulle sanzioni approvata dal Consiglio di sicurezza, tutto questo doveva
venire chiaramente ridiscusso e ripensato. A questo punto probabilmente sarebbe quasi
meglio se dovessimo trattare con un governo post-Gheddafi.
D. - Chi
ha esercitato maggiori pressioni in favore dei ribelli è stata la Francia: come mai?
R.
- Calcoliamo che la Libia aveva più volte ostacolato anche la politica francese in
Africa e c’è probabilmente il tentativo di Sarkozy di riproporre una politica mediterranea,
dopo il fallimento sostanziale dell’Unione per il Mediterraneo. La Francia ha bisogno
di una politica mediterranea e questo è un po’ un tentativo di dimostrare la continuità
del suo interesse, io credo.
D. - In ogni caso, tutti gli Stati che
hanno deciso di sostenere in campo dei rivoltosi, dei ribelli, hanno preteso il “cappello”
della Risoluzione delle Nazioni Unite…
R. - Diciamo che andiamo verso
una situazione, che potrebbe essere anche piuttosto lunga, di conflitto politico-diplomatico
oltre che militare. (mg)