Libia: la testimonianza del vescovo di Bengasi a Misna
DA BENGASI A TRIPOLI: “APPRENSIONE E PAURA, ORE DI ATTESA” “C’è apprensione e paura;
seguiamo le ultime notizie attraverso le televisioni straniere, noi stessi temiamo
che la situazione possa degenerare”. E’ una voce pacata ma preoccupata quella di monsignor
Silvestro Magro, vescovo di Bengasi, raggiunto telefonicamente dalla MISNA. “La vita
sembra scorrere ancora normalmente – aggiunge – se normale, in questa situazione,
significa fare incetta di scorte alimentari avere ancora a disposizione alcuni servizi
fondamentali come l’erogazione di acqua e corrente elettrica, o vedere che le banche
continuano a funzionare”. Con le truppe rimaste fedeli al colonnello Muammar Gheddafi
che hanno raggiunto Ajdabiya, a Bengasi si respira aria di tempesta. Se la strategia
del regime pare quella di accerchiare la seconda città del paese (la presa di Ajdabiya
consentirebbe infatti di aprire anche la strada per Tobruck, verso il confine egiziano,
e di stringere così Bengasi in una morsa), non è chiaro quale sia il reale potenziale
degli insorti né se ci sia la volontà di resistere a un esercito meglio addestrato
ed equipaggiato. E poco importa, se la comunità internazionale deciderà di imporre
il divieto di volo sui cieli libici (la cosiddetta ‘no fly zone’) perché ormai l’avanzata
di Gheddafi è progredita abbastanza da poter fare a meno del supporto dell’aviazione. Se
a Bengasi ci si prepara al peggio, anche a Tripoli, seppur in maniera diversa, si
respira aria di attesa. “Nel frattempo – dice alla MISNA padre Daniel Farrugia, vicario
generale della diocesi – qui si fa incetta di scorte alimentari. Durante la mattinata
e le prime ore del pomeriggio la vita sembra scorrere normalmente, ma chi può compra
quanto è reperibile e si può permettere. Ormai gli scaffali non sono pieni, ma tutto
ciò che viene messo in vendita va praticamente a ruba più che per necessità per precauzione”. La
situazione più precaria a Tripoli è quella dei migranti eritrei. “Un aereo militare
italiano ne ha trasferiti ieri una settantina in Italia – dice padre Farrugia – una
settimana fa una cinquantina aveva potuto usufruire della stessa via di fuga. Si tratta
soprattutto di donne e bambini, gli altri – almeno 2000 a Tripoli – sono ancora qui,
si arrangiano come possono e quando sentono di qualcuno che è riuscito ad andare via
vengono nella nostra chiesa di San Francesco nella speranza che possa essere il loro
turno. In attesa di lasciare il paese sono anche tanti cittadini di paesi africani.
Spesso senza documenti, alcune migliaia di loro – conclude il sacerdote – vivono accampati
nei pressi dell’aeroporto aspettando un aereo che li porti da qualche altra parte”.