La vita religiosa nei documenti del Vaticano II. Una riflessione sul decreto conciliare
"Perfectae caritatis"
Tra i numerosi ambiti nei quali il Concilio Vaticano II si pronunciò durante i suoi
lavori figura certamente anche quello della vita consacrata. Il decreto che la riguarda
si intitola Perfectae caritatis e fu emanato da Paolo VI nell’ottobre del 1965.
Ascoltiamo in proposito il commento del padre gesuita Dariusz Kowalczyk, nella
19.ma puntata della nostra rubrica dedicata ai documenti conciliari:
Gli ordini
religiosi non sono elemento indispensabile della Chiesa. Il Concilio tuttavia fa notare
che “fin dai primi tempi della Chiesa vi furono uomini e donne che per mezzo della
pratica dei consigli evangelici vollero seguire Cristo con maggiore libertà” (n. 1).
Possiamo sperare che tali persone ci saranno fino alla fine dei tempi. Il rinnovamento
della vita religiosa consiste, da un lato, nel continuo ritorno all'ispirazione originaria
degli istituti, e dall’altro - nell'adattamento degli istituti stessi alle mutate
condizioni dei tempi (cfr. n. 2). Il decreto sulla vita religiosa però sottolinea
che “le migliori forme di aggiornamento non potranno avere successo, se non saranno
animate da un rinnovamento spirituale” (n. 2).
La castità religiosa,
vissuta con autenticità è la contro-prova di “false teorie, che sostengono essere
la continenza perfetta impossibile o nociva al perfezionamento dell'uomo” (n. 12).
Il Concilio, allo stesso tempo, avverte però che volendo vivere nella castità non
si può solo presumere dalle proprie forze, ma ci si deve fidare dell’aiuto divino.
La povertà religiosa consiste nel dipendere dai superiori nell’uso dei beni, nell’essere
povero nello spirito, ma anche "nell’obbedire alla comune legge del lavoro". L’obbedienza
religiosa invece si basa sulla fede che Dio vuole agire nella vita del religioso attraverso
i suoi superiori. Così l’obbedienza, “lungi dal diminuire la dignità della persona
umana" ma "la conduce alla maturità, facendo crescere la libertà dei figli di Dio”
(n. 14). I superiori, da parte loro, dovrebbero governare “quelli che sono loro sottomessi,
con rispetto della persona umana e facendo sì che la loro soggezione sia volontaria”
(n. 14).
Non mancano le opinioni che il Concilio, che si è concentrato
sul ruolo dei vescovi, non ha approfondito l’importanza per la Chiesa della vita religiosa.
Forse questo sarà uno dei compiti di un prossimo Concilio.