Oltre 10mila morti in Giappone: si teme il disastro nucleare. Il Papa: dignità
e coraggio del popolo giapponese
In Giappone, il bilancio delle vittime causate dal terremoto e dallo tsunami di venerdì
scorso sta crescendo di ora in ora: secondo gli ultimi dati oltre 10mila persone avrebbero
perso la vita, in gran parte nella prefettura di Miyagi che si trova sull'isola di
Honshu. E oggi il Papa all’Angelus ha lanciato questo appello:
“Cari
fratelli e sorelle, le immagini del tragico terremoto e del conseguente tsunami in
Giappone ci hanno lasciato tutti fortemente impressionati. Desidero rinnovare la mia
spirituale vicinanza alle care popolazioni di quel Paese, che con dignità e coraggio
stanno facendo fronte alle conseguenze di tali calamità. Prego per le vittime e per
i loro familiari, e per tutti coloro che soffrono a causa di questi tremendi eventi.
Incoraggio quanti, con encomiabile prontezza, si stanno impegnando per portare aiuto.
Rimaniamo uniti nella preghiera. Il Signore ci è vicino!”
“La crisi
più grave dopo la Seconda Guerra Mondiale”: così il premier nipponico ha definito
la tragedia che sta vivendo il Giappone, dove la terra continua a tremare e la situazione
resta molto critica. Ma ora a fare paura è la minaccia nucleare dopo la conferma dei
danni riportati dal reattore 3 di Fukushima e l’incidente di ieri al reattore 1. Superati,
nell’area, i livelli di radioattività. Il servizio di Roberta Barbi:
Uno spettacolo
surreale di case distrutte o spazzate via dall’acqua: è un coro unanime quello dei
testimoni che raccontano la catastrofe senza precedenti che sta vivendo il Giappone,
dopo il terribile sisma di magnitudo 9 e l’onda anomala di 10 metri che l’hanno colpito
due giorni fa. Il capo della polizia della prefettura di Miyagi, nell’isola di Honshu,
l’area più colpita, non ha dubbi: ci sono oltre 10mila morti, stima in cui sono stati
inclusi i 600 cadaveri rinvenuti oggi sulla costa nord-orientale. Nel capoluogo Sendai
la situazione dei sopravvissuti è drammatica: mancano cibo e carburante, ma soprattutto
acqua. Migliaia di persone hanno trascorso la seconda notte all’addiaccio e il governo
ha fatto sapere che ci potrebbero essere interruzioni dell’elettricità a partire dall’area
di Tokyo. Il premier Naoto Kan ha ordinato l’impiego di 100mila militari in aiuto
della popolazione, mentre la portaerei americana Ronald Reagan e le squadre di soccorso
di 40 Paesi del mondo stanno arrivando in queste ore. Gli esperti avvertono che nei
prossimi giorni potrebbero verificarsi scosse di assestamento anche di magnitudo 7,
mentre l’allarme tsunami è stato declassato allo stato di allerta. A fare paura ora,
però, è la minaccia nucleare: il governo ha confermato che ci sono stati danni alle
barre di uranio e a una valvola di raffreddamento del reattore 3 della centrale di
Fukushima. Si teme, quindi, il ripetersi di incidenti come quello di ieri al reattore
1, dove un tecnico è morto e 11 persone sono rimaste ferite. L’esplosione è stata
causata dai danni riportati dal sistema di raffreddamento che serve a evitare fusioni
nucleari all’interno del reattore e la situazione resta grave perché i tentativi di
far calare la pressione del combustibile tramite l’immissione di acqua di mare non
stanno ottenendo gli effetti sperati. L’impianto di Fukushima comprende sei reattori,
ma solo 3 erano in funzione al momento del sisma. “Non ci sarà un’altra Chernobyl”,
ha assicurato il premier, secondo il quale non ci sarebbero pericoli per la salute,
nonostante nell’area si registrino livelli di radioattività superiori al normale.
Ma
ascoltiamo la testimonianza di un cittadino italiano residente a Tokyo, Antonio
Sgro, raggiunto telefonicamente da Sergio Centofanti:
R. – Occorre
considerare una cosa: i giapponesi sono molto abituati, da sempre, alle scosse di
terremoto, perché noi conviviamo, loro convivono da sempre con le scosse di terremoto.
Questa volta però hanno reagito in maniera completamente differente, perché non erano
preparati – anche loro – ad un evento del genere. Quindi, sono passati, nell’espressione
dei visi, durante la prima scossa di terremoto, da un sorriso sulle labbra, perché
vedevano il terremoto come uno dei tanti - “un altro anche oggi” - ad un'espressione
di vero terrore. Ho visto il terrore, per la prima volta, in quattro anni che sono
qui, negli occhi dei giapponesi. E immediatamente si è creato il blocco delle telecomunicazioni:
hanno chiuso le autostrade; i treni sono stati bloccati sui binari lì dove si trovavano;
le metropolitane sono state chiuse, mentre Internet funzionava a singhiozzi. Quindi,
il caos! Da quel momento in poi non si è capito più nulla, perché la gente ha cercato
di raggiungere casa e non ci riusciva, ma tutto con una pacatezza unica e tipica dei
giapponesi. Io dico sempre che dobbiamo ringraziare il Signore per due cose. La prima,
che sia successo in Giappone e non in un altro Paese, dove non avremmo avuto nessuno
in grado di raccontarlo; la seconda, che nonostante si stia parlando di una metropoli
di 20 milioni di abitanti e più – Tokyo – la compostezza e la tranquillità dei giapponesi
è stata esemplare. Quindi, un fiume umano nelle metropolitane, nelle piazze, nei marciapiedi,
senza però scene di panico, nel rispetto reciproco. E’ stata devo dire una lezione
di civiltà veramente unica.
D. – Adesso c’è il rischio di fusione in
due reattori. C’è paura anche a Tokyo?
R. – Sì, c’è paura anche a Tokyo
per un motivo molto semplice, perché soprattutto nella comunità internazionale qui
residente - e anche in quella giapponese, anche se quella è già forgiata da questo
tipo di atteggiamento - succede che sia preoccupata che il governo non stia dicendo
o non intenda dire tutta la verità, perché è già successo in passato, tanto che la
comunità internazionale qui a Tokyo sta chiedendo a viva voce al primo ministro giapponese
di permettere ad esperti stranieri di osservare con i propri occhi quello che sta
succedendo all’interno dei reattori, cosa che al momento non è stata permessa. E quello
che è forse più allarmante è che moltissime famiglie stanno decidendo di partire,
di lasciare il Paese. Questa forse è una reazione che potrebbe portare a fenomeni
incontrollati di panico.
D. – Le scosse di assestamento stanno continuando...
R.
– Sì, assolutamente, e continueranno per settimane, mesi addirittura. Dovremmo conviverci,
quindi. Ma adesso, dopo aver vissuto le due scosse dell’altro ieri, e aver visto che
gli edifici a Tokyo hanno tenuto in maniera eccezionale e che sono davvero di un’ingegneria
antisismica unica al mondo, la gente non è più preoccupata dell’eventualità che arrivino
scosse tanto forti, o superiori a quelle che ci sono già state, adesso la preoccupazione
sono i reattori nucleari, perché lì non si scherza più. Da quello che succederà nelle
prossime ore, si avrà il destino non soltanto dei 140 mila residenti che hanno fatto
evacuare nel raggio di 20 chilometri dalla base nucleare, ma di tutta la popolazione.
Non saremo più in grado di controllare le reazioni individuali. Ad esempio, i supermercati,
anche a Tokyo, non hanno più acqua, non hanno più latte, non hanno più pane. Quindi,
le persone si stanno già preparando inconsciamente ad un’eventualità di bunker nucleare,
di situazione mai vissuta prima d’ora. Non si trova più una torcia elettrica nel raggio
di dieci chilometri a Tokyo: sono tutte esaurite.
D. – C’è un’immagine
simbolica che vediamo su giornali e siti di oggi: un bambino molto piccolo che si
fa controllare per eventuali contaminazioni radiottive, con le manine alzate, in modo
molto diligente, molto educato...
R. – Assolutamente! Ma questo fa parte
della cultura giapponese. Il giapponese nasce e cresce con un rispetto delle istituzioni
e quindi delle regole sociali uniche al mondo. E un momento di forte tensione, come
si potrebbe produrre in un qualunque Paese in una situazione analoga, in questo Paese
invece crea il rispetto, che poi facilita il lavoro delle istituzioni nella soluzione
dei problemi che sono ingenti, sono enormi, sono inaspettati evidentemente. Questo,
però, sicuramente aiuta. E l’immagine del bambino è un’immagine-simbolo che mostra
quali siano le caratteristiche dei giapponesi.(ap)