Libia: i ribelli si ritirano da Ras Lanuf e Brega. Minacce del regime all'Italia
Le cancellerie dei Paesi arabi riunite al Cairo cercano una posizione comune sulla
crisi libica. Sì all’ipotesi di una no fly-zone da parte della Lega Araba. Intanto,
il regime libico minaccia l’Italia e l’Europa dopo il vertice di ieri a Bruxelles
in cui l'Ue ha affermato che Gheddafi deve lasciare il potere. Il servizio di Stefano
Leszczynski.
Mentre proseguono
i combattimenti in Libia con l’arretramento dei ribelli dal centro petrolifero di
Ras Lanuf e dalla città di Brega, sottoposta a pesanti bombardamenti, i ministri degli
Esteri dei Paesi della Lega Araba si sono riuniti al Cairo per trovare una posizione
comune sulla crisi. Il segretario generale della Lega, Amr Mussa, si è detto favorevole
all'imposizione di una no-fly zone sul Paese ed ha auspicato che l'organizzazione
''svolga un ruolo'' nella sua attuazione. I ribelli del Consiglio Nazionale di Transizione
intanto hanno chiesto alla Lega Araba il riconoscimento ufficiale, sulla scia di quanto
già fatto dalla Francia. Per conto dell'Ue, il capo della diplomazia europea, Catherine
Ashton, concludendo oggi a Budapest il Consiglio informale dei 27 ministri degli Esteri,
ha spiegato che, pur considerando come interlocutore valido il Comitato nazionale
di Transizione di Bengasi, l'Unione Europea è pronta a parlare anche con altre forze
sul terreno libico per contribuire ad una soluzione della crisi. Anche le diplomazie
dei Paesi dell’Unione Africana sono al lavoro per elaborare una linea politica che
non preveda tuttavia un intervento armato sulla Libia. I leader di Sudafrica, Uganda,
Mauritania, Congo e Mali costituiranno un comitato che si recherà prossimamente a
Tripoli per cercare di contribuire a porre fine alle violenze. Intanto, non si è fatta
attendere la reazione del clan Gheddafi alle prese di posizione europee emerse nel
vertice di ieri a Bruxelles, e cioè: congelamento degli interessi economici di Tripoli
e disconoscimento di qualsiasi ruolo ricoperto dal colonnello. Il figlio di Muhammar
Gheddafi in un’intervista al Corriere della Sera non ha risparmiato minacce e ritorsioni
nei confronti dell’Italia in particolare. “Presto faremo i conti con tutti”, ha sottolineato
il secondogenito del dittatore libico.
Indubbiamente Gheddafi appare sempre
più isolato a livello internazionale. Ma sulle scelte emerse al vertice europeo di
ieri e sulla posizione degli altri protagonisti della comunità internazionale in relazione
alla difficile situazione in Libia, ascoltiamo l’intervista di Fausta Speranza
a Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali all’Università
degli Studi di Milano:
R. – E’ emersa,
da un lato, potremmo dire, quasi una generica preferenza per una transizione di potere
in Libia. E’ naturale che da questo momento in poi Gheddafi diventi, o diventerebbe,
un interlocutore difficilmente praticabile. Dall’altro lato, è emersa naturalmente
una grande incertezza, una grande cautela, che ha diverse ragioni: una ragione prettamente
militare – cioè il rischio di aprire l’ennesimo fronte, in un contesto nel quale tutti
i Paesi europei, oltre che gli Stati Uniti, sono già sovra impegnati dal punto di
vista militare; e poi una ragione soprattutto sul terreno giuridico, più generalmente
il terreno della legittimità, perché è noto che diversi attori importanti e meno importanti
non sarebbero favorevoli ad un intervento militare e questo rischierebbe di produrre
nuove lacerazioni all’interno della comunità internazionale.
D. – In
qualche modo, dunque, si sceglie di non intervenire con truppe o con le bombe, ma
di stringere in una morsa finanziaria e diplomatica Gheddafi. E’ così?
R.
– Questa è la scelta. In realtà è una scelta che dal punto di vista di ciò che sta
avvenendo sul campo avrà effetti molto probabilmente insignificanti: semmai è una
scelta che potrà avere effetti, se ne avrà, in futuro. In campo questo significa,
almeno per qualche giorno, per qualche settimana – non sappiamo quale sarà la resistenza
degli insorti – dare campo libero sostanzialmente alle truppe fedeli a Gheddafi. Quindi,
dal punto di vista dello stallo militare, questo non può costituire un deterrente
serio oggi, per Gheddafi e le sue truppe.
D. – Dal vertice europeo è
emerso anche l’input ad un riconoscimento sempre più sostanziale ai protagonisti della
rivolta: questo comitato, dunque, di Bengasi. Ma chi sono?
R. – Questa
è una bella domanda! Non sappiamo esattamente chi siano e non sappiamo, soprattutto,
esattamente, chi saranno, perché questa è la cosa più rilevante. Quando pensiamo al
futuro dei rapporti con la Libia, non ci dobbiamo interrogare su chi è in campo oggi,
ma chi conterà domani. Credo che questa sia una domanda alla quale ragionevolmente
non si può ancora rispondere. Va detto che anche sul tema del riconoscimento, alla
fine, l’Unione Europea ha adottato una posizione molto cauta, molto più cauta di quella
– devo dire – anche un po’ intempestivamente suggerita da Sarkozy qualche giorno fa.
Non è ancora il momento sostanzialmente di prendere decisioni nette, in parte perché
non si conosce la natura degli interlocutori, ma in parte soprattutto per questa ragione:
perché non si sa quale sarà l’evoluzione di qui a qualche settimana.
D.
– Non abbiamo parlato del ruolo dei Paesi arabi…
R. – Perché il ruolo
dei Paesi arabi in questo momento è a dir poco delicato. Da un lato, quello che sta
avvenendo è la risalita in superficie di fratture all’interno del mondo arabo, che
ci sono sempre state, che sono fratture che hanno tra l’altro un’infinità di radici
diverse, che riguardano anche la composizione molto eterogenea dal punto di vista
persino geopolitico del mondo arabo e, dall’altro lato, naturalmente, queste divisioni
sono esacerbate dal fatto che i regimi politici arabi, in questo momento, vivono anche
al loro interno una grande crisi di legittimità. Quindi, questo rende tutto molto
più delicato, perché ciascuna pronuncia di qualunque Paese arabo, oltre che della
Lega Araba nel suo complesso, ha da un lato un riflesso sul terreno internazionale,
ma dall’altro lato soprattutto sulla stabilità interna dei regimi.
D.
– Prof. Colombo, docente di Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di
Milano, parliamo anche della minaccia di Gheddafi all’Italia. Le minacce sono sempre
un segno di debolezza, non è così?
R. – Sono un segno di debolezza.
In realtà, in questo momento, direi che le minacce di Gheddafi andranno capite: andrà
capito il contenuto di queste minacce tra qualche settimana. Va detto che l’Italia,
proprio per questa ragione, è stata tra i Paesi più cauti all’interno dell’Unione
Europea. Non è detto che una permanenza di Gheddafi – e non sappiamo neanche per quanto
tempo – debba necessariamente costituire una lacerazione dei rapporti tra Italia e
Libia. Questo, anzi, per certi versi mi stupirebbe. E’ naturale che dovrebbero cambiare
i modi e dovrebbe cambiare l’evidenza, forse, dei rapporti, ma l’Italia non ha molte
possibilità di rivedere in profondità i rapporti con la Libia e la Libia tutto sommato,
a propria volta, ha molti interessi a continuare i rapporti con l’Italia. Quindi,
al di là di queste schermaglie, anche molto dure oggi, dal punto di vista della polemica
politica, io credo che i rapporti non potranno essere recisi, perché nessuna delle
due parti se lo può permettere. (ap)