Rifugiati in Libia: paure e speranze per eritrei, etiopi e somali
Sono almeno 4 mila i cittadini eritrei, etiopi e somali in Libia. Non possono tornare
nei loro Paesi d’origine perché molti di loro sono rifugiati e in questi giorni vivono
momenti difficili: o nell’arcivescovado di Tripoli o nascosti nelle loro case. Questa
mattina il Centro Italiano Rifugiati, il Cir, ha organizzato un incontro a Roma per
chiedere che l’Europa si faccia carico della loro evacuazione dalla Libia. Alessandro
Guarasci:
Stanno
vivendo momenti di terrore gli eritrei, i somali e gli etiopi che ancora sono in Libia.
Sono concentrati soprattutto a Tripoli e a Bengasi. In alcuni casi vengono scambiati
per mercenari dalla popolazione locale, in altri sono presi di mira perché cristiani.
Non possono lasciare la Libia, perché rifugiati e quindi se tornassero nel loro Paese
rischierebbero persecuzioni. I somali, vista la guerra civile nel loro Paese, non
hanno nemmeno un ambasciatore che possa assisterli. Savino Pezzotta,
presidente del Centro Italiano Rifugiati: “Noi siamo sulla frontiera,
però l’Europa non può far finta che non stia avvenendo nulla. Adesso con Gheddafi
qui tutti hanno fatto affari, hanno baciato mani, hanno fatto qualsiasi cosa e adesso
non possono pensare che a pagare siano i più deboli, i più poveri, i meno protetti.
Credo che l’Europa debba dimostrare di essere una civiltà vera, che è in grado di
cogliere le situazioni.”
Cinquantotto eritrei sono stati già evacuati
qualche giorno fa, ora bisogna pensare agli altri. E per don Mussie Zerai,
presidente dell’agenzia Hebeshia bisogna far presto perché la situazione sta precipitando:
“Anche
i viveri stanno scarseggiando, fanno fatica a dare assistenza a tutte le persone che
hanno bisogno in questo momento, soprattutto adesso, che abbiamo persone che vengono
cacciate fuori dalle loro case.”
Barak ha la sorella a
Tripoli e non sa dove sia:
“Adesso, in Libia, se sanno che sei un cristiano
o uno straniero è pericoloso. Non so se è viva o se è morta.”
Lulla
invece chiede che torni la madre, rimasta senza lavoro e senza assistenza:
“Da
un po’ di giorni non avevo più contatti, adesso sì, telefonicamente. Si sta male,
purtroppo stanno aggredendo le persone, hanno paura.”
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deboli tra i deboli. E l’Europa non può far finta di nulla.