A Roma, anteprima italiana del film "Il Rito", storia vera di un esorcista
Viene proiettato questa sera all’Auditorium Conciliazione di Roma, in anteprima italiana
e alla presenza del cast, il film “Il Rito”, liberamente ispirato alla storia vera
di un esorcista e di un diacono messo alla prova della fede, che diverrà poi sacerdote,
oggi in servizio in una diocesi californiana. Un percorso che tra paure, tensioni
e qualche cessione gratuita allo spettacolo, sfocia così in un finale positivo. Il
servizio di Luca Pellegrini:
(Clip audio)
“Come
spieghi la voce dentro di lei? Non era una voce umana, quella!”. “Devi stare
attento, Michael!”. “Perché?”. “Scegliere di non credere nel diavolo
non ti proteggerà da lui”.
Così padre Lucas, esorcista irascibile e
schietto, cerca di mettere in guardia il giovane diacono, giunto a Roma per rinsaldare
la sua fede e che, invece, fa di tutto per dubitare. Sebbene gli incontri con il diavolo
si facciano via via più ravvicinati e il nemico si celi là dove mai si potrebbe sospettare,
Michael - nomen omen - diventerà alla fine sacerdote per rimettere i peccati che alimentano
il male nel mondo. La trama de "Il Rito" è abbastanza semplice, evitando non tanto
le scene di disturbo quanto la spettacolarizzazione gratuita degli esorcismi. Il film
esce sugli schermi italiani sorretto da una grande pubblicità, sperando di captare
l’interesse dei curiosi e degli appassionati del genere. Il protagonista è Antony
Hopkins: giustamente il quotidiano Avvenire, nell’intervista che gli ha dedicato,
lo descrive come attore pieno di dubbi e confusioni, sgradevolmente arroccato nel
negare ogni domanda che riguardi il diavolo e il suo precedente killer antropofago
Hannibal. Mentre affrontano interessanti argomenti il regista Mikael Håfström,
che dirige con piglio tragico, giocando sul deterioramento progressivo degli ambienti
e dei corpi, e l’esordiente attore irlandese Colin O'Donoghue. Al primo abbiamo chiesto
di cosa parla realmente il suo film:
R. – To me, the film was not just
a film about exorcism: that’s part of the story… Per me, il film non è stato
semplicemente un film sull’esorcismo, anche se questo ovviamente fa parte della storia.
Per me, si è trattato di un giovane che cerca di trovare la sua strada nella vita,
che si impegna nella lotta con i suoi dubbi e con la sua vita, come fanno tutti, d’altronde:
non è necessario avere l’ambizione di diventare sacerdote. Si tratta anche della memoria,
dei lutti… delle cose importanti della vita.
D. – Per certe immagini
eccessive e la delicatezza dei temi trattati, pensa a qualche reazione negativa della
stampa cattolica?
R. – I don’t see a conflict, really. I wasn’t bothered
by that. As you see, the film… Veramente, non vedo motivo di conflitto.
A me non ha dato fastidio. Come vede, il film è ovviamente molto soggettivo. Non ho
fatto un thriller, si tratta in realtà di un percorso personale. Non ho sentito commenti
ufficiali da parte della Chiesa cattolica sul film, ma non vedo per quale ragione
non dovrebbero apprezzarlo.
Colin O’Donoghue, cattolico
irlandese, ha realmente seguito alcuni esorcismi a Roma: su cosa si è basata la sua
esperienza diretta?
R. – I went to see some real exorcism here in Rome:
oh my God, what have I got… Ho assistito ad alcuni veri esorcismi, qui a
Roma: Dio mio, in quale avventura mi ero cacciato! Ero pieno di pregiudizi in merito
a quello a cui avrei assistito; ero nervoso perché valutavo quello che stavo per affrontare.
Poi mi sono reso conto che era molto più coinvolgente di quanto avessi immaginato,
è stato molto simile a una seduta dallo psicologo. Mi sono reso conto che non era
realmente importante che ci credessi o meno, perché quelli che entravano lo facevano
per essere benedetti. E’ tutto molto vero e molto spaventoso.
D. – Che
cosa ricorda?
R. – I didn’t see anything incredibly estreme. The only
kind of thing that I saw… Non ho visto nulla di incredibilmente “estremo”.
L’unica cosa che ho visto è stata una donna che ci ha chiuso fuori, perché non voleva
che noi vedessimo. Gridava, e sentivo la sedia che si muoveva, e lei piangeva e gridava…
Questo è tutto quello che ho sentito. Per me è stato utile essere presente, come succede
a Michael Kovac, il personaggio del film. Se vedo una cosa “estrema”, allora ho visto
qualcosa di “estremo” e ci credo. E questo è quello che ho cercato di introdurre in
questo carattere: ecco, è stato importante per me tenerlo leggermente a distanza.
D.
– Lei debutta al cinema interpretando il ruolo di un giovane diacono e futuro sacerdote:
ha qualche significato particolare?
R. – For me, I just felt the honesty
of the character. … Io ho semplicemente percepito l’onestà del personaggio.
Non ha nulla a che fare con il fatto che è un sacerdote. Me ne rendo conto ora: ho
sentito una sorta di legame con il personaggio, perché mentre leggevo il copione mi
trovavo anch’io a una sorta di crocevia. Ho capito perché lui si poneva determinate
domande, non solo quelle sulla fede. Ognuno si pone domande sulla fede, che si creda
o meno. Ma le domande che lui, invece, si pone sono: cosa sto facendo? dove sto andando?
chi voglio essere? Ecco, credo che questo film non sia un horror ma piuttosto un dramma
psicologico che ruota intorno a queste tre persone: Angelina, Michael Kovac e padre
Lucas: tre persone che cercano qualcosa, in diverse tappe della loro vita. (gf)