Libia, la Ue blocca i beni della famiglia Gheddafi. Il dramma dei profughi
Resta grave la situazione in Libia: questa mattina un nuovo bombardamento aereo ha
raggiunto la città di Brega, terminal petrolifero nella parte orientale del Paese
dove gli insorti si stanno rafforzando. Intanto l’Ue ha bloccato con effetto immediato
i beni della famiglia Gheddafi e di altri vertici del regime e la Corte penale internazionale
dell’Aja ha aperto un’inchiesta contro il raìs per crimini contro l’umanità. I particolari
nel servizio di Roberta Barbi:
In Libia si
continua a combattere: dopo gli scontri di ieri in Cirenaica, il cui bilancio provvisorio
è di 12 morti, oggi un nuovo bombardamento aereo è stato condotto su Marsa el Brega,
centro petrolifero dell’area, da ieri al centro della battaglia tra le milizie fedeli
al regime e i ribelli che stanno rafforzando le proprie posizioni sulla costa orientale
e ad Adjabiya. Il Consiglio nazionale libico formato a Bengasi dagli insorti, intanto,
fa sapere di non essere disposto a trattare con Gheddafi e di non essere a conoscenza
del piano di pace proposto da Chavez e che, secondo la tv araba al Jazeera, il colonnello
starebbe per accettare. Il piano del presidente venezuelano prevede l’invio di una
missione internazionale per mediare tra dirigenti libici e ribelli e risolvere così
il conflitto escludendo qualsiasi intervento militare straniero. L’Unione europea,
intanto, ha ordinato con effetto immediato il congelamento dei beni di Gheddafi, della
sua famiglia e dei suoi più stretti collaboratori: in tutto 26 persone fisiche, ma
potrebbe essere esteso anche alle persone giuridiche, mentre per il 10 marzo è convocata
a Bruxelles una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dell’Ue sulla Libia.
La Procura della Corte penale internazionale dell’Aja, intanto, ha aperto un’inchiesta
per crimini contro l’umanità contro il leader libico e altre 10-15 persone ritenute
i maggiori responsabili del massacro, mentre la Nato per ora non prevede alcun intervento
militare nell’area, ma si tiene pronta a ogni eventualità. Il Consiglio dei ministri
italiano, dopo quella in Tunisia, ha approvato oggi una missione umanitaria in Libia:
entro 24 ore partirà una nave diretta a Bengasi, mentre per parlare della situazione
nell’area, il Presidente Napolitano ha convocato per la prossima settimana il Consiglio
Supremo di Difesa. Infine, il governo olandese ha fatto sapere che è stato aperto
il dialogo con le autorità libiche per il rilascio dei tre soldati catturati ieri
durante un’operazione di soccorso.
L’organizzazione non governativa, Medici
Senza Frontiere, lancia l’allarme per la Libia. Oltre a richiedere alle milizie di
Tripoli e ai ribelli l’accesso alle aree colpite dalla violenza per portare assistenza,
si chiede di rispettare le strutture mediche e di tutelare, soprattutto, il diritto
della popolazione di poter cercare e ricevere cure mediche in modo sicuro. Intanto,
un’altra delle zone calde rimane il confine libico-tunisino, dove sino a ieri si sono
ammassate decine di migliaia di persone che cercano di entrare in Tunisia. Giancarlo
La Vella ha contattato telefonicamente Barbara Schiavulli, che da diversi giorni si
trova in quella zona:
R. – Quello
che sta succedendo oggi è qualcosa di molto strano, perché si è praticamente quasi
fermato l’arrivo dei profughi. Noi sapevamo che c’erano code chilometriche dall’altra
parte, ma da quando si comincia a parlare molto di Tunisia, praticamente i soldati
libici non fanno più entrare persone in Tunisia, forse per dimostrare che in realtà
non c’è la fuga. Però, di fatto, sono già entrate 85 mila persone.
D. – Il
sostentamento di queste persone come procede?
R. – Quelli che sono riusciti
ad entrare, sono stati accolti da una Tunisia abbastanza organizzata nonostante i
problemi interni. Sta di fatto che comunque non è facile assorbire all’improvviso
decine di migliaia di persone. Comunque, le stesse organizzazioni umanitarie, le Nazioni
Unite in testa, hanno sottolineato in questi giorni che questa è un’emergenza transitoria,
perché tutte queste persone vogliono rientrare a casa. Altro problema è la presenza
in Libia – di cui non si sa più niente – di circa 8mila rifugiati, persone che avevano
chiesto asilo politico in Libia perché arrivavano da altre guerre. Di queste persone,
che tra l’altro sono per lo più africani e senza documenti, non si sa più niente.
D.
– C’è invece parte di questa gente che tenta il viaggio via mare verso le coste nord
del Mediterraneo…
R. – Di solito i barconi partono la notte. Per il momento
sono sempre e solo tunisini, quelli che si spostano verso Lampedusa, in quella che
per molti ragazzi è la ricerca di una vita migliore. Noi sappiamo che oggi si prepara
la partenza di uno di questi barconi che dovrebbe o starebbe arrivando sulle rive
di Lampedusa.
D. – Tu sicuramente hai avuto modo di parlare con i libici che
cercano di attraversare il confine con la Tunisia. Qual è il loro stato d’animo?
R.
– Chi è riuscito a portare fuori la famiglia racconta di una situazione molto difficile:
magari mette in salvo la famiglia per tornare dentro ed unirsi ai rivoltosi. Il problema
è che questa zona, la Tripolitania, la zona ovest del Paese, ancora regge, anche se
le città spesso sono nelle mani dei ribelli, la periferia resta ancora in mano alle
milizie di Gheddafi. Quindi, chi arriva racconta di rapine, posto di blocco, di violenze
e anche per questo i Medici senza Frontiere stanno preparando un presidio psicologico
per chi arriva: persone che non solo hanno vissuto lo stress di avere abbandonato
casa, di essere stato qua per giorni senza avere – magari – un posto per dormire,
ma anche quello di aver subito il trauma della fuga. (gf)