2011-03-02 15:08:42

Libia: scontri tra insorti e fedelissimi di Gheddafi. Migliaia i profughi


Si continua a combattere in Libia: situazione incerta a Brega, dove governativi e ribelli rivendicano di aver ripreso il controllo della città. Intanto il leader libico Muammar Gheddafi è riapparso in pubblico con un discorso sulla tv di stato libica in cui accusa al Qaeda di aver guidato i primi scontri armati contro l’esercito regolare. Per gli ultimi aggiornamenti sentiamo Marco Guerra:RealAudioMP3

La situazione sul terreno vede la controffensiva dei fedelissimi di Gheddafi che assediano la città della cirenaica Brega. La propaganda del regime riferisce che le forze armate controllano l'aeroporto e il porto della città, contraddicendo la versione dei insorti, secondo i quali l'attacco sarebbe stato respinto. Giungono infatti notizie contrastanti sull'esito della battaglia in corso nell'importante terminal petrolifero della Libia. Questa mattina anche un portavoce del governo di Tripoli aveva espresso dubbi sul contrattacco. La giornata di oggi è stata però segnata dal nuovo intervento pubblico di Gheddafi, che ha parlato alla Tv di Stato in occasione del 34.mo anniversario “del passaggio dei poteri al popolo”, come viene definito dalla stessa emittente. “Combatteremo per la Libia all'ultimo uomo e donna" ha garantito l’anziano colonnello. Il futuro della Libia è "nelle mani del popolo libico", ha aggiunto, spiegando non avere alcun ruolo politico nel Paese. Il rais ha anche chiesto all'Onu di inviare una commissione di inchiesta per investigare sulle accuse di aver ucciso dimostranti pacifici. Gheddafi ha infine puntato il dito contro Al Qaeda, accusandola di aver innescato l’insurrezione. Il tentativo di scaricare le colpe sulla rete del terrore tradisce un isolamento internazionale sempre più profondo. Oggi la Spagna ha annunciato il congelamento dei beni che Gheddafi possiede nel Paese iberico. Il presidente della Commissione europea Manuel Barroso si unito al coro di chi chiede ufficialmente le dimissioni del leader libico. Intanto, mentre resta sospesa l’ipotesi di un intervento militare internazionale, due navi da guerra statunitensi, stanno attraversando il Canale di Suez e arriveranno nel Mediterraneo a metà pomeriggio, per dirigersi a largo della Libia.

Intanto cresce l’emergenza umanitaria al confine tra Libia ed Egitto e Libia e Tunisia. Per quest’ultima zona L’Unhcr, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati, ha lanciato un allarme per una fila di persone lunga diversi chilometri e propone l’utilizzo di aerei per smaltire la folla. Alla frontiera libico-tunisina si trova Barbara Schiavulli raggiunta telefonicamente da Giancarlo La Vella:RealAudioMP3

R. - Ci sono migliaia di persone asserragliate al di là del confine, quindi ancora in parte libica che non vengono fatte entrare. Ci sono già 75 mila persone da questa parte che sono state alloggiate nei modi migliori possibili, quindi nelle scuole, nelle tende, molti ancora bivaccano sulle strade, dormono sopra le proprie valige. Però, dall’altra parte il problema si sta ingigantendo perché c’è veramente un fiume di persone che non ha accesso a niente. Stanno lì da giorni senza avere possibilità di mangiare, di ricevere assistenza medica perché non fanno passare, i poliziotti libici, neanche i medici delle varie organizzazioni che si sono precipitate qui. Ho sentito questa mattina Medici Senza Frontiere che cercava di far passare almeno le medicine per assistere i primi che arrivano, perché dopo giorni che stanno al confine, ovviamente hanno bisogno di tutto.

D. – Hai notizie di persone che stanno cercando invece di imbarcarsi alla volta delle coste italiane o europee?

R. – Due giorni fa è partita questa grande nave che è arrivata proprio a Lampedusa e qui i ragazzi - quello che raccontano nei caffè - vogliono soprattutto dire che hanno il diritto di andare a cercarsi un lavoro, vogliono venire in Europa perché vedono l’Europa come un paradiso. Quindi, ci sono molte persone che organizzano questi barconi di minimo 12 metri, barche che ci mettono dalle 17 alle 20 ore per arrivare in Italia. Tra l’altro, stanotte, ne è partita una che quindi arriverà stasera probabilmente. Ieri abbiamo incontrato, invece, una madre che ha perso il figlio in un incidente che c’è stato proprio su una di queste barche di disperati che è partito a metà febbraio scorso; la nave è stata speronata da un’ altra barca della polizia di frontiera tunisina, sono state salvate la maggior parte delle persone, ci sono cinque cadaveri recuperati e 20 dispersi, tra cui il figlio di questa signora, che si appellava al fatto che sperava che le Autorità italiane potessero trovare il cadavere. (ma)

Dunque cresce l’emergenza profughi legata alla crisi libica e la comunità internazionale si mobilita. Ieri sera l’Italia, in attesa delle prossime decisioni europee, ha deciso l’invio nel giro di 48 ore di una missione umanitaria. Intanto stamani a Lampedusa e a Linosa si segnala l’arrivo di alcune centinaia di immigrati. Sta seguendo da vicino la situazione anche la Caritas italiana. Sentiamo, al microfono di Luca Collodi, il responsabile dell’ufficio Immigrazione dell’organismo caritativo della Chiesa, Oliviero Forti:RealAudioMP3

R. – Si tratta di migliaia di persone, ormai si parla di oltre 100 mila persone che sono ammassate ai confini libici, quindi al confine tunisino e al confine egiziano, cercando di trovare salvezza da una situazione che chiaramente sta sempre più degenerando. Poi, peraltro, stanotte sono ripresi gli sbarchi verso Lampedusa e anche verso Linosa. C’è una situazione in quest’area veramente calda che dev’essere seguita con molta attenzione, soprattutto, per quanto ci riguarda, in termini di accoglienza e tutela di queste persone.

D. – Dalle vostre fonti Caritas in Libia la situazione qual è? Che idea vi siete fatti?

R. – In Libia abbiamo in particolare una situazione fortemente drammatica che riguarda la presenza, che sappiamo essere storica, di rifugiati dal Corno d’Africa, e mi riferisco agli eritrei, che attualmente in numero di qualche migliaia erano ospiti addirittura della cattedrale di Tripoli: il vescovo l’ha aperta per cercare di dare un minimo di risposte a chi cerca di fuggire da un contesto sociale assolutamente degradato e che vede nei migranti, soprattutto dell’Africa subsahariana, il primo bersaglio delle milizie non solo di Tripoli ma anche, purtroppo, in alcuni casi, dei rivoltosi. La nostra preoccupazione e il nostro invito è che si proceda subito a una evacuazione umanitaria di questi soggetti che sono tra i più vulnerabili. Sappiamo che il governo italiano si è fatto carico di un numero, però, molto limitato, una cinquantina di persone; ne rimangono migliaia ancora sprovviste di qualsiasi tutela, quindi un’azione internazionale in tal senso è auspicabile.

D. – Voi vi siete appellati anche alle diocesi italiane per questa emergenza…

R. - Chiaramente loro saranno chiamate in una seconda fase, quella successiva agli arrivi in Italia, affinché possano dare risposte in termini di alloggio, vitto e tutto ciò che è necessario per una corretta accoglienza e integrazione sul territorio. Per questo stiamo censendo le strutture presenti nelle varie diocesi italiane, 220 diocesi, per capire di quanti posti possiamo disporre e possiamo mettere a disposizione delle autorità con le quali siamo costantemente in contatto per un piano di emergenza che coinvolge chiaramente tutti e che ci deve vedere lavorare in piena sinergia. (bf)







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