Le sofferenze dei cristiani discriminati in Iraq: mons. Casmoussa chiede di continuare
nel dialogo con gli islamici
“La minoranza cristiana in Iraq è facile preda di ogni genere di vessazione”: così
mons. Georges Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di Mosul denuncia conversioni
obbligate all’Islam, chiusure di negozi cristiani e terreni dati ai musulmani. E,
nel contesto dell’attuale protesta nei Paesi arabi, insieme alla speranza di una maggiore
democrazia, ci sono timori di ulteriori infiltrazioni integraliste. Tuttavia il presule,
che solo alcuni anni fa ha vissuto sulla sua pelle il dramma del rapimento, non si
stanca di ripetere: “Il dialogo interreligioso con gli amici musulmani è indispensabile
per costruire un Iraq moderno e rispettoso del diritto”. Al microfono di Paolo
Ondarza mons. Casmoussa ricorda che nei secoli passati, nonostante divergenze
culturali, cristiani e musulmani hanno convissuto pacificamente:
R. – C’est
un fait historique… Questo è un fatto storico, però si vorrebbe che fosse
anche un fatto di convinzione. Noi vorremmo che fosse un progetto di vita, in modo
che ognuno possa sentire se stesso pienamente cittadino, con tutti i suoi diritti.
Se nel nostro Paese continuiamo sulla strada del dialogo, saremmo allora tutti vincenti.
D. – I cristiani sono una minoranza in Iraq e non solo numerica: non
hanno accesso a posti decisionali e sono tanti i pregiudizi nei loro confronti…
R.
– Oui, il y a… Sì, effettivamente i cristiani si sono visti rifiutare le
cariche pubbliche e quando hanno visto che non vi era alcun modo di accedere, hanno
ripiegato verso le professioni libere, la libera professione. Quello che noi vogliamo
è che non vi siano questi pregiudizi, ma che vi sia il merito così che il cittadino
senta veramente la sua piena appartenenza alla società cui appartiene.
D.
– Tanti i luoghi comuni e i cristiani rifiutano di essere assimilati ai Crociati del
Medio Evo o agli occidentali occupanti del XXI secolo…
R. – Oui exactement…
Sì, esattamente. Noi eravamo cristiani, ma il fatto di essere cristiani
non significava assolutamente che eravamo con i Crociati, anche se loro erano cristiani.
Io non posso accusare un cittadino iracheno, un musulmano iracheno, di essere – ad
esempio – un filo iraniano o filo tunisino o altro solo per il fatto di essere musulmano
e quindi per la sua religione.
D. – Talvolta i conflitti politici fanno
sì che la differenza sia vissuta come separazione o addirittura odio: lei ha vissuto
sulla sua pelle un sequestro da parte dei fondamentalisti e nonostante questo non
si stanca di dire che il dialogo è l’unica soluzione…
R. – Justement
moi, j’encourage… Infatti, io incoraggio gli intellettuali moderati a costruire
questo Paese democratico: solo in questo modo avremo le stesse opportunità e avremo
un’uguaglianza di mezzi. (mg)