In Libia gli scontri si spostano nella città di Sabrata. L’ONU studia sanzioni. Il
figlio del rais: possibile guerra civile
Primi passi concreti nei confronti della crisi libica da parte della comunità internazionale.
E’in corso il Consiglio di sicurezza dell’Onu per approvare formalmente una prima
risoluzione con sanzioni mirate contro Gheddafi e il suo staff. Per il presidente
Usa Obama Tripoli ha violato la decenza comune e deve essere ritenuta responsabile
anche di crimini di guerra. Gheddafi sembra sempre più isolato, ma le sue milizie
continuano a seminare terrore e violenze e il figlio del rais avverte “la rivolta
in Libia apre tutte le opzioni, compresa la guerra civile “. Il servizio è di Gabriella
Ceraso
Gheddafi
sarebbe dunque asserragliato nel suo bunker e l’assalto alla capitale da parte delle
forze ribelli, che hanno conquistato la Cirenaica e diverse città dell’ovest, sarebbe
questione di ore. La moglie di Gheddafi, Ayesh e la figlia Aisha, avrebbero lasciato
la Libia e sarebbero a Vienna. Come altri diplomatici nei giorni scorsi, anche l'ambasciatore
libico in Iran ha fatto oggi defezione chiedendo che Gheddafi lasci il potere. Il
servizio di Fausta Speranza:
Sono migliaia
i profughi egiziani, indiani, tunisini che da giorni scappano dalle milizie di Gheddafi
e, in un flusso continuo, superano la frontiera con la Tunisia a Ras Jedir. Dove
i militari hanno messo su una tendopoli che ospita tra i quattro e i cinquemila profughi,
via via smistati su autobus. Barbara Schiavulli, che si trova
sul posto, riferisce che non sono più solo gli stranieri a fuggire dalla Libia:
Per
la prima volta arrivano anche i libici. Loro non tornano a casa come gli stranieri
di questi giorni, ma cercano di mettersi al sicuro. Murad, ingegnere di 52 anni, ha
portato la sua famiglia in salvo e ora freme per tornare indietro. Vuole unirsi ai
ribelli per esserci il giorno in cui Gheddafi cadrà: “Ho visto cose orribili - racconta
- come buttare giù porte di casa, entrare e sparare... I mercenari e le forze speciali
sono ovunque, ma al colonnello non resta altro, il popolo è unito contro di lui”.
Racconta dell’esercito, ormai dalla parte della gente, di combattimenti a Tripoli
da dove lui viene... “Siamo gente perbene”, ci dice Murad, che ci dà appuntamento
per lunedì nella Tripoli liberata.
Quelli che varcano le frontiere parlano
della ferocia della milizia di Gheddafi e di vere e proprie esecuzioni contro gente
inerme. E c’è il caso di 25 lavoratori italiani rimasti bloccati, derubati e ormai
senza viveri nella cittadina di Amal, nel sud della Libia. Il ministro italiano della
Difesa, Ignazio La Russa, ha spiegato che dopo il tentativo ieri di riportarli in
patria in aereo, oggi si sta provvedendo via nave. D’altra parte, in tutto il caos
libico, i profughi sono al centro delle raccomandazioni dell’Onu, che dopo un accordo
di massima sta mettendo a punto le sanzioni da varare. Da parte sua, il presidente
degli Stati Uniti, Barack Obama, ha annunciato le misure di Washington contro la Libia:
congelare i beni della famiglia Gheddafi, ma non quelli che appartengono al popolo
libico. Dell’isolamento internazionale, parliamo con Luigi Geninazzi,
editorialista di Avvenire.
R. – Sì, certo, è un isolamento perché
l’embargo delle armi arriva sull’onda di una risoluzione dell’Onu, dopo che – mi pare
– era già stata decisa da vari Paesi europei e anche dall’amministrazione Obama. Diciamo,
però, che è una misura, come dire, un po’ scontata e tardiva: sarebbe stato meglio
non dare negli anni passati le armi che adesso stanno usando. E’ chiaro ora che nessuno
può mettersi in testa di fornirgliele ancora in modo lecito e legale. Però, è un segnale
importante ed è un segnale politico perché, ovviamente, Gheddafi è isolato non solo
sul piano interno, assediato nella sua Tripoli, nel suo bunker, ma anche a livello
internazionale.
D. – A questo punto,l il figlio di Gheddafi parla ancora
con i ribelli di trattative in corso: c’è margine, secondo te?
R. –
Non credo. Anche se nessuno può dare giudizi netti e definitivi sulla situazione così
confusa e caotica che c’è in Libia oggi. Però, mi sembra che i ribelli, che ormai
avevano conquistato non solo la Cirenaica ma anche altre città della Tripolitania,
si mettano a patteggiare o meglio a prendere tempo con il figlio del dittatore. Siamo
davanti a uno scenario di totale incertezza, con possibili ricadute ancora più tragiche
degli eventi che abbiamo vissuto nei giorni scorsi.
D. – Come può essere
il dopo Gheddafi?
R. – Le domande che ci facevamo in Tunisia e in Egitto
erano domande con alcune incognite, ma c’erano dei binari sui quali il treno della
crisi poteva correre senza deragliare. In Egitto, abbiamo visto l’esercito che ha
fatto una specie di golpe, ma ha promesso alla popolazione di mantenere il potere
in modo provvisorio fino alle prossime elezioni e di garantire un passaggio democratico
dei poteri. In Tunisia, la situazione è un po’ più confusa, però c’è un governo civile.
In Libia, c’è il totale caos e come dicono gli storici che conoscono il Paese - e
di loro dobbiamo fidarci più dei politici che hanno sbagliato tutte le previsioni
e tutti gli accordi. La Libia non solo non ha mai avuto la democrazia, ma è sempre
rimasto divisa in tante tribù, in tanti gruppi che si possono scontrare di nuovo e
che il dittatore Gheddafi aveva ammansito con il potere dei soldi derivanti dagli
incassi petroliferi. Adesso, tutto questo mondo è crollato e su queste macerie non
sappiamo che cosa succederà. Io direi solo una cosa: non facciamo subito i profeti
di sventura, affermando che sicuramente accadrà il peggio, che al Qaeda prenderà il
potere. Al Qaeda è stata presa alla sprovvista, gli integralisti islamici sono stati
presi alla sprovvista non solo dagli eventi in Libia, ma da questa grande ondata di
libertà che percorre il Maghreb e l’intero mondo arabo. Quindi, la partita è molto
aperta e in Libia è più che mai aperta. (bf)
E’ evidente che la
crisi libica, pur rientrando nello stesso vento di rivolta che ha animato il Nord
Africa e il Medio Oriente, si caratterizza per la scarsità e frammentarietà delle
notizie. Per l’assenza di giornalisti stranieri e soprattutto perché, a differenza
della Tunisia e dell’Egitto, Internet non ha rappresentato un fattore determinante:
l’infrastruttura da questo punto di vista era nettamente inferiore. In più, la rivolta
in Libia ha preso subito la piega della guerra civile. Pertanto è difficile anche
capire chi siano i ribelli. Luca Collodi ha chiesto aiuto a
Fabrizio Maronta,docente di Geografia politica ed economica
all’Università Roma Tre e collaboratore della rivista di geopolitica Limes:
R. – Anche questo è un elemento piuttosto difficile perché l’elemento
fondamentale dell’Egitto - se vogliamo fare un paragone molto vicino nel tempo e anche
nello spazio - era l’esercito, quindi un’istituzione riconoscibile, fondamentalmente
laica e anche, direi, socialmente omogenea. Invece, adesso ci troviamo di fronte a
un fattore di estrema frammentazione, quello tribale. Vale la pena ricordare questo
dato, perché non lo sento citato molto spesso e invece mi sembra un aspetto fondamentale:
la Libia ha oltre 140 tribù il cui peso in questa insurrezione è in realtà ancora
da appurare bene. La mia impressione è che 42 anni di dominio di Gheddafi - che ha
mirato proprio a diluire il potere delle tribù, il quale era chiaramente un fattore
di divisione che rendeva difficile governare lo Stato in modo unitario e soprattutto
autoritario - abbiano in qualche modo un po’ diminuito il fattore tribale ma non lo
abbiano assolutamente annullato. In questo momento, ripeto, credo che il fattore più
determinante, ancor prima di quello religioso - spesso paventato nell’ipotesi dell’avvento
di una situazione di islamismo estremo - sia proprio quello tribale. Da questo punto
di vista, in realtà, è ben difficile fare analisi perché non si sa bene da che parte
stiano le tribù. Per gli occidentali, soprattutto, è molto difficile poter trattare
con esse, che non si presentano come un’istituzione unitaria ma come un "arcipelago"
di istanze.
D. – L’elemento religioso che ruolo può avere nello sviluppo
della situazione libica?
R. – Finora, Al Qaeda nel Maghreb è stata relativamente
- e dico relativamente - assente dalla Libia perché, in realtà, la Libia è stata fondamentalmente
un Paese di transito delle correnti migratorie e di conseguenza anche delle componenti
estremiste. Il problema fondamentale è che tra le prime porte a essere aperte, ancora
prima di quelle dei varchi di confine per accogliere i rifugiati tunisini e egiziani,
sono state quelle delle carceri di massima sicurezza, soprattutto a Tripoli. Si pensa
che questo fatto abbia permesso la fuoriuscita di una serie di elementi incarcerati
dal regime di Gheddafi, perché ritenuti pericolosi anche per la stabilità del regime
e che adesso potrebbero confondersi con i flussi migratori. (bf)