Corso alla Lateranense per riscoprire il ruolo del sacerdote di fronte all'emergenza
educativa
“Pastori dinanzi all’emergenza educativa” è la sfida e il titolo del Corso di formazione
teologico-pastorale per sacerdoti che si chiuderà lunedì 28 febbraio presso la Pontificia
Università Lateranense. Due settimane di lavori, strutturate in sei incontri, per
riflettere su come ogni sacerdote debba porsi di fronte alle frontiere della formazione.
Tra le relazioni finali, quella del vescovo di Teano-Calvi, mons. Arturo Aiello,
intitolata “La vita del prete: tra l’andare e il restare. Appunti per una strategia
pastorale”. Luca Collodi lo ha intervistato:
R. - “Emergenza”
è riprendere le fila dell’educazione rispetto a tempi in cui le cose, i valori, la
visione dell’uomo passavano di bocca in bocca, di generazione in generazione in una
maniera quasi automatica. Oggi non è più così ed è da qui, dall’impegno educativo,
che nasce da sempre anche l’aspetto dell’emergenza.
R. - La Pontificia
Università Lateranense lunedì 28 febbraio dedica una tavola rotonda a questo tema.
Che difficoltà, oggi, incontra il prete nella sua pastorale?
R. - Difficoltà
rispetto ad essere riconosciuto dalle persone come un messaggero. Si tratta allora
di riprendere una serie di relazioni, di fare attenzione a quel groviglio di relazioni
all’interno del quale ogni prete, anche quello giovane, si trova ad operare. Diciamo
che questa sensibilità rispetto alle relazioni c’è sempre stata, ma oggi è un’urgenza
particolarmente forte: educare i presbiteri ad essere uomini di relazione, perché
più che nel messaggio dato alla massa - di cui pure c’è bisogno - è nel contatto personale,
nel custodire e nell’essere registi di relazioni che passa il Vangelo.
D.
- Quale deve essere il giusto equilibrio in un sacerdote tra la preghiera e la vita
quotidiana?
R. - Questo è il vero nodo. Tante crisi, tante difficoltà
nascono dal ritenere esaurito il proprio cammino di formazione spirituale e quindi
anche il proprio impegno di comunione con Gesù, con il Maestro. Nella misura in cui
il prete riuscirà a essere contemporaneamente uomo di Dio e uomo tra gli uomini, in
questo punto di convergenza c’è la vera soluzione e la possibilità di essere incisivo.
A volte ci si perde in una sorta di sociologismo, di bilanciamento verso le relazioni
pastorali, dimenticando però che c’è una fonte cui attingere continuamente. (vv)