Libia: gli insorti marciano verso Tripoli. La Comunità internazionale: stop alla repressione
In Libia la situazione è sempre più critica: la diplomazia internazionale si mobilita
nel tentativo di fermare le violenze e le milizie antigovernative marciano, intanto,
verso Tripoli che secondo diverse fonti potrebbe ospitare nelle prossime ore, dopo
la manifestazione in favore di Muammar Gheddafi, anche proteste di massa contro il
regime. Anche oggi si registrano diverse vittime. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Il futuro
della Libia passa attraverso una duplice strada. La prima è quella che stanno percorrendo
le milizie antigovernative. Gli insorti hanno preso il controllo della città costiera
di Misurata e stanno marciando verso Tripoli. Il governo libico, intanto, ha aumentato
stipendi e sussidi. Muammar Gheddafi, che ieri in un collegamento telefonico con la
televisione pubblica ha annunciato la possibile interruzione dei flussi di petrolio,
si trova probabilmente assediato in un bunker sotterraneo nel centro della capitale.
Mentre il colonnello si aggrappa al potere, la comunità internazionale accelera il
passo per risolvere la crisi. La strada da percorrere, in questo caso, è indicata
da Unione Europea, Nato e Onu. L’Unione Europea ha dichiarato che prenderà al più
presto delle misure per far uscire la Libia dalle violenze. La prima decisione presa
è quella di stanziare 3 milioni di euro per esigenze umanitarie. L’Alleanza Atlantica
prende in esame varie opzioni e non è da escludere un intervento militare. Il segretario
della Nato, Rasmussen, ha convocato una riunione urgente per consultazioni
sulla situazione libica in rapida evoluzione. L’Onu esprime preoccupazione
per l’allarmante intensificarsi della repressione che potrebbe aver causato migliaia
di morti. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà di nuovo
per una sessione d’emergenza. Francia e Gran Bretagna hanno presentato una bozza di
risoluzione nei confronti della Libia che prevede "l'embargo totale sulle armi", “delle
sanzioni” e l'apertura di un’inchiesta alla Corte penale internazionale per “crimini
contro l'umanità”. Ed è tragica la prospettiva di ulteriori crimini. L’ex ministro
libico della Giustizia, Mustafa Abdel Galil, ha dichiarato “che Gheddafi dispone di
armi chimico-batteriologiche e non esiterà ad usarle” per reprimere la rivolta.
La
comunità internazionale si mobilita dunque per porre fine alle violenze in Libia.
Si profila anche la possibilità di un’azione militare internazionale di carattere
umanitario. Quali scenari si aprono a questo punto? Salvatore Sabatino lo ha
chiesto a Paolo Quercia, esperto di relazioni internazionali.
R. – Ovviamente,
le opzioni militari sono sul tappeto dal momento in cui siamo di fronte ad una guerra
civile i cui esiti sono imprevedibili. Bisogna capire poi cosa si intende per azioni
militari perché ci sono varie tipologie. Si è parlato anche di gruppi di forze speciali
allo scopo di proteggere cittadini europei. Quelli che soprattutto possono essere
più immaginabili nelle prossime ore sono interventi umanitari allo scopo di portare
beni di conforto, generi alimentari ed eventualmente dare assistenza ai profughi che
si possono ammassare in parti del Paese.
D. – Altre azioni di carattere
internazionale sono avvenute pochi anni fa nei Balcani. Ci sono delle differenze sostanziali,
secondo lei?
R. - Sì, ci sono differenze perché la situazione libica
è estremamente confusa e al momento ci sono anche rischi. Ovviamente, l’ingerenza
umanitaria deve subentrare anche per non dare adito a interpretazioni che si tratti
di operazioni militari con altri fini: per poter ricorrere a un tale intervento devono
verificarsi alcune condizioni specifiche e io credo che queste condizioni, nella confusa
situazione libica, ancora non siano chiaramente identificabili, come invece lo furono
nel corso delle guerre nei Balcani.
D. – Ci sono secondo lei dei pericoli
concreti per l’Europa, visto che lo scenario di guerra è così vicino?
R.
– Per l’Europa i pericoli ci sono e purtroppo in misura maggiore per i Paesi dell’Europa
meridionale. Ovviamente, la prossimità geografica rende questa parte d’Europa molto
più sensibile a tutto quello che sta avvenendo. Dobbiamo anche tenere presente che
eventuali misure di carattere militare che verrebbero adottate in buona parte dovrebbero
essere applicate da Paesi come l’Italia, la Francia o comunque Paesi della sponda
sud; e per posizione geografica, noi siamo uno dei Paesi candidati su cui eventualmente
queste missioni andrebbero ad insistere. Quindi siamo effettivamente in prima linea
da questo punto di vista. (bf)
In Libia, intanto, non è solo la città Tripoli
a vivere ore di grande tensione. Una zona particolarmente calda è la frontiera con
la Tunisia, a poche decine di chilometri da Tripoli. A causa della possibile caduta
della capitale nelle mani degli insorti, è imponente l’afflusso di persone che stanno
lasciando la Libia. Dal confine libico-tunisino ci riferisce Barbara Schiavulli:
I militari
tunisini sono gentili, aprono quel cancello leggero ma spesso come l’idea che si ha
di una barriera insuperabile. Lo chiudono dietro a chi entra, in una Tunisia pronta
ad incassare l’emergenza. Migliaia di persone, 2.500 ogni sei minuti dicono, forse
esagerando, le autorità tunisine. Ma sono tanti quelli che arrivano dalla Libia e
superano il confine: lavoratori stranieri, soprattutto egiziani, tunisini e cinesi.
Un fiume di persone con le schiene piegate dal peso di vecchie valige, strette nei
loro giacconi per proteggersi dal freddo tagliente e dalla sabbia del deserto. Arrivano
da Tripoli e portano con sé le storie orribili di persone ferite, uccise negli ospedali,
sparizioni, fosse comuni per nascondere il massacro che si compie. I nuovi arrivati
silenziosi salgono sugli autobus e spariscono verso Nord, lasciando i loro ricordi
e le voci di combattimento che si stanno consumando nella zona Ovest del Paese, l’ultima
roccaforte di Gheddafi, dove si consumerà la battaglia più sanguinosa.
I
commentatori internazionali si dividono sul futuro del regime di Gheddafi. Secondo
diversi osservatori, sono le ultime ore del colonnello alla guida della Libia. E’
questa l’idea anche di Muhammad Rifaa al Tahtawi, dell’Università egiziana
Al Azhar e già ambasciatore del Cairo in Libia, intervistato da Francesca Sabatinelli:
R. – Penso
che in Libia per Gheddafi sia finita. Ci sono cinque motivi che mi spingono ad affermarlo.
La storia ce lo insegna: quando un governo, un sistema, comincia ad uccidere i suoi
cittadini per strada perde la sua legittimità. E’ successo nella Russia degli zar,
è successo in Iran e attualmente sta succedendo anche in Libia. Il secondo motivo
è che la barriera della paura si è frantumata, non c’è più paura. Poi ci sono i fatti
concreti. Prima di tutto, la parte est della Libia, ormai è stata liberata e anche
la parte ovest è liberata. Tripoli non è stata liberata ma ci sono forti scontri.
Poi, nella Libia centrale, perfino la base che si presume sia il sostegno per Gheddafi
sta barcollando, non è più una base molto stabile. Il quarto motivo è che c’è l’assenza
dei massimi rappresentanti del governo. Il quinto motivo riguarda anche l’esercito.
Ci sono delle unità militari che vanno a Malta … si stanno ritirando … Quindi, sia
dal punto di vista militare che politico c’è una specie di cedimento del regime. (bf)