La protesta nel mondo arabo: le opinioni di Radwan Al Sayyd e mons. Vincenzo Paglia
Le rivolte popolari, dall’Algeria al Bahrein, stanno sconvolgendo i tradizionali equilibri
internazionali, ma non si sono svolte in nome dell’Islam. E’ la convinzione dei vari
esponenti, politici e religiosi, che ieri hanno preso parte al convegno “Agenda della
convivenza” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Dai relatori è stato levato l’incoraggiamento
a cristiani e musulmani perché insieme contribuiscano alla costruzione di democrazie
laiche e garanti dei diritti umani di tutti. Il servizio è di Paolo Ondarza:
Non è solo
una rivoluzione interna al mondo arabo, condotta in nome della libertà, quella che
si sta verificando in vari Paesi nord africani e mediorientali. E’ anche una rivoluzione
del modo con il quale finora l’Occidente ha guardato all’Islam. “Non la religione,
ma la politica è alla radice delle crisi nell’area”, spiega l’intellettuale e analista
politico libanese Radwan Al Sayyd:
R. - Ciò che
è successo è che ultimamente milioni e milioni di persone in Egitto, in Tunisia nello
Yemen, nell’Algeria, in Libia sono usciti per la strada e in piazza non per rivendicare
lo Stato islamico, ma per rivendicare la democrazia, le uguali opportunità, la partecipazione
diretta alla vita politica. Io non sto dicendo che nell’islam non ci sia il radicalismo,
però dopo tutto quello che è successo ultimamente ci chiediamo: è possibile che il
vero problema venga dall’islam, oppure, questo problema non viene dall’islam? (bf)
Da
Tunisi al Bahrein, la piazza sovverte luoghi comuni: quelle categorie che, complici
i regimi arabi, finora hanno troppo semplicisticamente portato all’equazione islam-fondamentalismo.
Mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni Narni Amelia e consigliere
spirituale della Comunità di sant’Egidio:
R. – Oggi ci troviamo di fronte
ad una situazione nuova: vediamo che nella sponda Sud del Mediterraneo stanno accadendo
dei cambiamenti che non ci aspettavamo. Vuol dire che, forse, avevamo capito poco
quella società. Magari attenti ai rapporti istituzionali e governativi, forse eravamo
distanti dalla realtà concreta e dalle aspirazioni della gente.
D.
– C’è chi, presente in piazza, ha raccontato di episodi che non possono non interrogare
chi ritiene impossibile un futuro insieme tra cristiani e musulmani …
R.
– Raccontava, questo amico sulla piazza, quando una cristiana copta si è tolta la
sciarpa, l’ha stesa per terra perché un suo vicino musulmano voleva pregare. Gesti
di questa natura è chiaro che interrogano sul semplicismo con cui noi, a volte, affrontiamo
queste situazioni.
D. – Sorprende anche la modalità di richiesta di
libertà adottata dai manifestanti …
R. – La richiesta di libertà, di
democrazia da queste folle di giovani e meno giovani è avvenuta senza violenza: questo
dobbiamo sottolinearlo. Questo non vuol dire che mancano i problemi: tutt’altro! Che
manchi una classe politica a guidare tutto questo processo, questo è reale. Quindi,
bisogna essere attenti. Non possiamo stare a guardare quello che accadrà. Ecco perché
l’Occidente deve riscoprire la responsabilità complessa nei confronti delle società
di questi Paesi, e non pensare unicamente – come purtroppo spesso è accaduto fino
ad oggi – al gas, al petrolio e ai soliti interessi dei governi. (gf)