Libia: la comunità internazionale condanna la repressione
All’indomani del discorso alla nazione del leader libico Muammar Gheddafi, “la Commissione
Europea ha espresso una ''condanna unanime per l'uso della forza in Libia”. Il Consiglio
di Sicurezza dell’Onu ha inoltre approvato una dichiarazione in cui si “condannano
le violenze” degli ultimi giorni. La Francia chiede “sanzioni rapide e concrete”.
Sul terreno, il bilancio è sempre più pesante. Diverse fonti parlano di oltre 1000
morti. Su internet si moltiplicano testimonianze, appelli e video amatoriali. Il servizio
di Amedeo Lomonaco:
Il governo
libico smentisce i bombardamenti sui civili e nega che finora sia stata usata la forza.
Ma dai racconti di diversi testimoni sembra delinearsi un “massacro di proporzioni
spaventose”. La cronaca è affidata soprattutto ad Internet. Video amatoriali e messaggi
inviati dalla Libia continuano ad arrivare tramite la rete, in particolare attraverso
Twitter. Un utente scrive che a Tripoli oggi si respira “un’aria minacciosa”. “In
molti – si legge in un altro messaggio - cominciano ormai a paragonare Bengasi ad
Auschwitz”. Nella piazza virtuale si diffondono notizie raccolte in strada. Una ragazza
chiede di pregare per tutti i libici, “non solo per gli innocenti”. A partecipare
alle proteste antigovernative sono soprattutto i giovani, come ricorda al microfono
di Luca Collodi il presidente del Centro Studi Internazionali, Andrea Margelletti:
“C’è
una rivolta generalizzata, che è basata su una generazione di giovani che hanno sviluppato,
attraverso la rete, una coscienza comune. Le rivolte che hanno animato, in questi
giorni, l’intero Nord Africa e Medio Oriente sono state, finora, rivolte assolutamente
laiche. Bisogna parlare al più presto con i nuovi interlocutori, affinché siano proprio
loro a farsi garanti della continuazione di un’ondata che non ha nulla a che fare,
sino a questo momento, con l’estremismo islamico”.
L’Italia chiede che
cessi immediatamente “l’orribile spargimento di sangue” in Libia e il ministro degli
Esteri, Franco Frattini, conferma che il bilancio delle vittime
di almeno 1000 morti è verosimile:
“L’intera comunità internazionale
chiede al governo libico di fermarsi. Noi, purtroppo, non abbiamo notizie esatte sul
numero di morti. Evidentemente, la mancanza di comunicazioni ci fa dire che la cifra
di mille morti, che è stata comunicata, è una cifra purtroppo verosimile. Sappiamo
per certo che la Cirenaica non è più sotto il controllo del governo libico e che ovviamente
vi sono degli scontri in corso nel resto del Paese”.
Il governo
italiano guarda con attenzione e preoccupazione l’evolversi della situazione. Il presidente
del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha auspicato che non si arrivi ad una “direzione
pericolosa” che conduca al prevalere del “fondamentalismo islamico”. In Libia, e anche
in altri Paesi del Nord Africa, la speranza è che vengano garantiti tutti i diritti
compresa la libertà religiosa, come sottolinea il padre gesuita egiziano
Samir Khalil Samir, docente di Storia della Cultura araba e d'Islamologia
presso l'Università "Saint Joseph" a Beirut, in Libano:
“Manca ancora
la scoperta della libertà di coscienza, che è l’ultimo passo e il più importante per
la parità tra tutti gli uomini in campo religioso: se un musulmano vuole essere cristiano,
va bene; se un cristiano vuole essere musulmano, va bene. Ognuno ha diritto di scegliere
la sua fede, così come di scegliere le sue opinioni, purché non leda i diritti altrui”.
Ieri
il leader libico Muammar Gheddafi si è rivolto alla nazione. Nel discorso, trasmesso
dalla Televisione di Stato, ha affermato che non lascerà la Libia e ha aggiunto che
dietro i contestatori ci sono “infiltrati” mossi dall’estero. Il futuro della Libia
appare incerto. Di fronte a molteplici, possibili scenari, resta comunque imprescindibile
per il futuro del popolo lo sfruttamento di risorse come gas e petrolio. E’ quanto
sottolinea Fabrizio Maronta, docente di Geografia politica ed
economica all’Università Roma Tre, intervistato da Luca Collodi:
“La
Libia è uno Stato che ha una caratteristica fondamentale, che è il petrolio. Questo,
paradossalmente, può essere in prospettiva un elemento di stabilità, nella misura
in cui la necessità di garantire una continuità dei proventi petroliferi alla base
dell’economia libica, dovrebbe far sì che chiunque prenda in mano poi le redini del
potere, in qualche modo sia portato a dare continuità ai rapporti commerciali. Potrebbe
essere, per l’appunto, un partito e un governo con un carattere più marcatamente islamico.
E questo – diciamo – pone problemi di sicurezza non indifferenti all’Europa e in particolar
modo all'Italia”.
Restano infine difficoltose le comunicazioni per l’oscuramento,
in varie zone della Libia, di Internet e della rete mobile. Proseguono poi i rimpatri
degli stranieri. Washington ha avviato l'evacuazione degli americani via mare. Due
imbarcazioni, scortate da navi militari, sono partite con destinazione Malta.(mg)
“L’Italia
rimane il primo esportatore europeo di armamenti” alla Libia, nonostante il momento
di profonda difficoltà politica e sociale del Paese nordafricano. Lo ricorda Pax Christi
Italia, in un comunicato in cui il movimento internazionale “chiede di rifiutare l’esportazione
di armamenti qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature
militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna”. Ascoltiamo
don Nandino Capovilla, coordinatore nazionale di Pax Christi, intervistato
da Giada Aquilino:
R. – In questa
situazione drammatica vogliamo cogliere un grande senso di responsabilità, lanciando
un richiamo al bene del Paese e al bene di questa massa di fratelli e sorelle che
sono in una situazione davvero disperata.
D. – I fatti di questi giorni
cosa dimostrano riguardo alle politiche adottate finora dalla comunità internazionale
rispetto alla Libia?
R. – Sembra che ci sia un gap troppo profondo tra
le scelte - soprattutto le scelte di cooperazione militare, di sostegno a certi Paesi
- e la morale, la legge, che l’Italia e gli Stati dell’Europa hanno come fondamento
proprio per regolare questo commercio delle armi e soprattutto per aiutare la comunità
internazionale a sostenere direttamente le popolazioni.
D. - Pax Christi
fa riferimento ai rischi che questi armamenti possano essere usati per fini di repressione
…
R. – Purtroppo vantiamo il primato di essere i primi fornitori in
Europa di armi alla Libia. Di fronte allo sconvolgimento - dopo la Tunisia basti pensare,
per esempio, all’Egitto - non abbiamo neanche posto il dubbio. La Francia e la Germania
hanno immediatamente deciso di sospendere i rifornimenti di armi all’Egitto e invece
per noi sembra sempre che purtroppo prevalga la legge del commercio, il commercio
di morte.
D. - Come Pax Christi è vicina in queste ore ai cristiani
di Libia?
R. – Siamo naturalmente partecipi di una grande e profonda
comunione che avviene attraverso la comunità ecclesiale. Poi non dobbiamo nascondere
che la nostra preoccupazione, da tanto tempo, è anche per il fiume umano che attraversa
il nostro mare. Ormai la tragica realtà dei respingimenti ci conferma che ci vuole
una politica di più ampio respiro, certamente italiana ma anche europea, al di là
di una situazione emergenziale.(bf)