Flussi migratori dall'Africa: la Chiesa siciliana invoca cooperazione internazionale
e integrazione
Con la drammatica situazione in Libia e le proteste in diversi Paesi del Nord Africa,
sono sempre più probabili nuovi flussi migratori diretti in Europa e in particolare
in Italia. Secondo alcune stime, potrebbero arrivare sulle coste italiane oltre 300
mila immigrati. Oggi, Michele Cercone, portavoce di Cecilia Malmstrom, commissaria
europea per gli Affari interni, ha affermato che le norme europee non prevedono un
''meccanismo di redistribuzione'' tra gli Stati membri dei migranti che chiedono asilo:
''la solidarietà tra gli Stati membri, come noto, è solo su base volontaria''. La
precisazione è giunta dopo che ieri fonti diplomatiche europee avevano escluso che
l'Ue potesse farsi carico di uno 'smistamento' dei migranti dal Nord Africa che avrebbero
raggiunto le coste italiane. Gli sbarchi a Lampedusa continuano con il sindaco, Bernardino
De Rubeis, che parla di respingimenti necessari. "L'Europa – ha detto - non può pensare
che Lampedusa diventi il centro di raccolta immigrati di tutto il Mediterraneo”. Da
parte sua, la Conferenza episcopale di Sicilia due giorni fa aveva indicato le sue
proposte: creare un percorso strutturale di integrazione, valutare la possibilità
di un decreto flussi straordinario e rafforzare la cooperazione internazionale nei
Paesi del Nord Africa. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Francesco
Montenegro, arcivescovo di Agrigento.
R. – Ritengo
che non debba essere solo dell’Italia, ma è un problema che riguarda tutta l’Europa.
E’ vero che è un momento particolare, dove è difficile discernere. La nostra impressione,
per adesso, è che si sia in attesa di qualcosa per comprendere il da fare. Questa
vaghezza credo stia causando già i primi disagi, perché gli immigrati vogliono sapere
cosa devono fare e questo può creare, in loro, oltre che disagio anche una reazione.
Ma noi sappiamo quello che vogliamo fare? E qua le indicazioni non credo che possano
partire da noi, come Chiesa. Sono cose concrete, politiche. Ora si parla del villaggio
di Mineo. Cosa significherà? Diventerà un campo di concentramento? Bisogna mettere
lì dentro quelli che chiedono asilo politico?
D. – Quindi, in questo
momento, voi sottolineate un po’ l’incertezza e la confusione nell’affrontare la situazione
da parte dell’Italia e dell’Unione Europea…
R. – La mia impressione
è di incertezza, che senz’altro crea un po’ di confusione. Che lo Stato stia dando
aiuti immediati a chi arriva, questo c’è. Ma con il passare del tempo questo non sarà
sufficiente.
D. – Siamo arrivati ad un punto molto delicato, per quello
che riguarda i Paesi del Nord Africa. Quanta responsabilità c’è stata, anche da parte
dell’Italia, nel non voler prendere posizione?
R. – Questa, forse, è
la responsabilità più grande, perché è vero che adesso è scoppiata una bomba e quindi
stanno arrivando qui tutti i frammenti, ma questo passaggio era previsto, oltre che
prevedibile. Si è pensato di risolverlo dicendo: “Non si passa di qua”, ma questo
è impossibile. Non possiamo evitare questo flusso di gente.
D. – Lei
è preoccupato per ciò che sta accadendo nei Paesi del Nord Africa?
R.
– La preoccupazione c’è, perché non è soltanto una piccola insurrezione. E’ un momento
fondamentale anche nella vita di quelle terre e di quei Paesi. Questa situazione,
forse, chiede a noi, come Chiesa, una maggior riflessione sul senso del dialogo e
su cosa significa mettersi di fronte a questi fratelli che vengono da un’altra terra,
con un’altra mentalità e cultura. Credo sia un momento in cui la Chiesa debba prendere
una maggior coscienza di se stessa e di quello che è. Pensare che tanta gente sta
perdendo la vita, forse perché desidera la libertà, un modo diverso di vivere, questa
è anche una solidarietà che dobbiamo esprimere. (vv)
Particolarmente impegnata
e attiva nel far fronte a questa emergenza è la Caritas. Ascoltiamo al microfono
di Luca Collodi il responsabile dell’Ufficio Immigrazione della Caritas italiana,
Oliviero Forti:
“Ormai da
anni, siamo consapevoli che questi Paesi costituiscono dei potenziali serbatoi di
immigrazione, ma sono – e questo anche nel caso della Libia – anche grandi canali
di immigrazione dall’Africa Sub-Sahariana e dal Corno d’Africa. Quindi, evidentemente,
le preoccupazioni sono legittime e doverose. Quello che ci attende adesso non possiamo
saperlo, ma ci stiamo attrezzando per tentare di garantire un’accoglienza dignitosa
almeno a queste prime seimila persone che sono già arrivate. Capiremo poi nei prossimi
giorni cosa accadrà”.(mg)