2011-02-21 07:57:31

Regno Unito: movimenti pro-life favorevoli alla sentenza che regolamenta l’uso della pillola Ru486


Una vittoria delle donne e della verità su una realtà come l’aborto, che non può essere mai considerata come «sicura». È questa la reazione delle organizzazioni pro-life inglesi, riportata dall’”Osservatore Romano”, in seguito alla sentenza di un giudice britannico che ha respinto la richiesta di consentire alle donne di compiere l’aborto chimico nella propria abitazione e non all’interno e sotto il diretto controllo di normali strutture sanitarie. Dopo settimane di dibattimento, lunedì scorso il giudice Michael Supperstone dell’Alta Corte di Londra ha ritenuto infatti che permettere l’aborto «fai da te» rappresenti un tentativo inammissibile di reinterpretare l’Abortion Act del 1967. A innescare la sfida legale è stata la British Pregnancy Advisory Service che, come sostiene il «National Catholic Register», effettua circa 55.000 dei 200.000 aborti che ogni anno avvengono in Gran Bretagna. Secondo la BPA, l’aborto, indotto nelle prime nove settimane di gravidanza attraverso la somministrazione delle note compresse Ru486, dovrebbe essere consentito a domicilio piuttosto che in ospedale. A tale richiesta si era opposto anche il Governo che aveva ribadito la validità della normativa attualmente in vigore, che richiede che la somministrazione dei dosaggi chimici per l’interruzione di gravidanza avvenga all’interno di strutture sanitarie. Katherine Hampton, portavoce della Society for the Protection of Unborn Children, organizzazione che sulla vicenda ha sollecitato un ampio dibattito nell’opinione pubblica, ha detto che la decisione del giudice Supperstone è stata «una vittoria per le donne». Per la Hampton, infatti, «se la BPA avesse vinto questo caso, sarebbe stato mandato un segnale falso che esiste un percorso “sicuro” per l'aborto e questo avrebbe aumentato le interruzioni di gravidanza. Inoltre, si sarebbero verificate ulteriori restrizioni all’obiezione di coscienza da parte di medici e infermieri». Anche Margaret Cuthill, coordinatore nazionale di Abortion Recovery Care and Helpline, è soddisfatta della sentenza: «L'aborto non è mai una buona medicina per le donne. Ma questa procedura avrebbe aggiunto il trauma della solitudine al processo dell’aborto».(M. R.)







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