Regno Unito: movimenti pro-life favorevoli alla sentenza che regolamenta l’uso della
pillola Ru486
Una vittoria delle donne e della verità su una realtà come l’aborto, che non può essere
mai considerata come «sicura». È questa la reazione delle organizzazioni pro-life
inglesi, riportata dall’”Osservatore Romano”, in seguito alla sentenza di un giudice
britannico che ha respinto la richiesta di consentire alle donne di compiere l’aborto
chimico nella propria abitazione e non all’interno e sotto il diretto controllo di
normali strutture sanitarie. Dopo settimane di dibattimento, lunedì scorso il giudice
Michael Supperstone dell’Alta Corte di Londra ha ritenuto infatti che permettere l’aborto
«fai da te» rappresenti un tentativo inammissibile di reinterpretare l’Abortion Act
del 1967. A innescare la sfida legale è stata la British Pregnancy Advisory Service
che, come sostiene il «National Catholic Register», effettua circa 55.000 dei 200.000
aborti che ogni anno avvengono in Gran Bretagna. Secondo la BPA, l’aborto, indotto
nelle prime nove settimane di gravidanza attraverso la somministrazione delle note
compresse Ru486, dovrebbe essere consentito a domicilio piuttosto che in ospedale.
A tale richiesta si era opposto anche il Governo che aveva ribadito la validità della
normativa attualmente in vigore, che richiede che la somministrazione dei dosaggi
chimici per l’interruzione di gravidanza avvenga all’interno di strutture sanitarie.
Katherine Hampton, portavoce della Society for the Protection of Unborn Children,
organizzazione che sulla vicenda ha sollecitato un ampio dibattito nell’opinione pubblica,
ha detto che la decisione del giudice Supperstone è stata «una vittoria per le donne».
Per la Hampton, infatti, «se la BPA avesse vinto questo caso, sarebbe stato mandato
un segnale falso che esiste un percorso “sicuro” per l'aborto e questo avrebbe aumentato
le interruzioni di gravidanza. Inoltre, si sarebbero verificate ulteriori restrizioni
all’obiezione di coscienza da parte di medici e infermieri». Anche Margaret Cuthill,
coordinatore nazionale di Abortion Recovery Care and Helpline, è soddisfatta della
sentenza: «L'aborto non è mai una buona medicina per le donne. Ma questa procedura
avrebbe aggiunto il trauma della solitudine al processo dell’aborto».(M. R.)