Il caos in Libia e negli altri Paesi arabi sta spingendo al rialzo il prezzo del petrolio.
Il Brent, punto di riferimento del mercato europeo, schizza al massimo da oltre due
anni arrivando a più di 105 dollari al barile. Il prezzo del petrolio Usa vola oltre
gli 89 dollari. Alcune compagnie petroliere, Bp Statoil e in parte Shell, hanno iniziato
a evacuare il personale così come anche Finmeccanica. Ripercussioni anche in borsa.
Una situazione che sta, dunque, provocando effetti sull’economia europea, come ci
conferma Gianfranco Viesti, professore di economia all’Università di Bari.
L’intervista è di Debora Donnini:
R. – Dato
che adesso siamo in una situazione in cui non sappiamo che cosa succederà da qui ad
un mese o due in questi Paesi, si hanno ovviamente delle ripercussioni immediate.
I prezzi tendono a salire, anche nel momento in cui non ci sono effettive carenze:
tutto quello che è incerto provoca un effetto immediato sui prezzi. E per l’Italia
sia il gas algerino sia il petrolio libico sono componenti essenziali della bilancia
energetica del Paese.
D. – Sono fondati, secondo lei, i timori che si
possa scatenare, in Europa, un’altra crisi come quella del 1973, quando i Paesi arabi
decisero di abbassare i livelli di produzione del petrolio ed aumentare i prezzi per
l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Europa ad Israele? E’ possibile questo - anche
se per ora l’Opec si dice pronto ad aumentare le forniture - o no?
R.
– Questa mi sembra una preoccupazione estrema, in questo momento. Non sappiamo cosa
può succedere in questi Paesi. Gli analisti che provano a spiegarcelo ci dicono che
non é detto che questi cambiamenti possano provocare un mutamento in peggio nelle
relazioni con l’Europa. Direi quindi che questo scenario così negativo è, per fortuna,
decisamente prematuro.
D. – Da problemi nel campo petrolifero, gli Stati
Uniti avrebbero eventualmente gli stessi danni dell’Europa?
R. – No.
Ci sarebbero danni minori, perché la dipendenza dell’Europa dalle forze energetiche
importate è maggiore. Queste vengono sia dall’Est – Russia – sia dal Sud-Est – Medio
Oriente – sia dal Sud – Nord Africa. I consumi sono molto alti e c’è necessità di
un approvvigionamento continuo, per cui il tema è senz’altro delicato per noi, e per
l’Italia ancor di più rispetto alla media europea.
D. – Ci possono essere
conseguenze da questi rivolgimenti del Nord Africa e del Medio Oriente anche per altri
aspetti dell’economia europea, oltre al petrolio?
R. – Certamente. Guardiamo
anche ad uno scenario positivo, cioè al fatto che questi Paesi riescano ad avere un
ritorno a condizioni economiche normali. Alcuni di questi stavano andando molto bene
negli ultimi anni, come l’Egitto. Con una distribuzione del reddito e del potere d’acquisto
un po’ più democratica, nel medio periodo da questi Paesi può nascere una domanda
molto forte di beni di consumo e di prodotti industriali europei. Uno dei possibili
sbocchi della crisi è che si rafforzino, dall’altra parte del Mediterraneo, delle
economie che crescono, che hanno più consumi e che quindi sono ancora di più legate
a noi. Naturalmente può succedere anche il contrario: una situazione d’instabilità
permanente o dei danneggiamenti che portino ad una crisi economica, oppure una chiusura
di queste economie verso il mondo occidentale. Gli scenari sono tutti aperti. Apparentemente
non ci sono elementi per cui debbano per forza prevalere quelli negativi, ma certamente,
nel pieno degli eventi, è impossibile per chiunque fare delle previsioni. (vv)