Sette anni tra i religiosi: il cardinale Rodé fa il bilancio della sua esperienza
a capo del dicastero per la Vita consacrata
Carismi antichi, che hanno reso più bello il volto della Chiesa lungo i secoli. E
nuove compagini maschili e femminili, attratte dalla radicalità evangelica, che con
la loro scelta reagiscono alla progressiva scristianizzazione della nostra epoca.
A servizio degli uni e degli altri ha lavorato per sette anni il cardinale Franc
Rodè, rivestendo la carica di prefetto della Congregazione per gli Istituti di
Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Da poco più di un mese, il 76.enne
porporato ha lasciato l’incarico al suo successore, l’arcivescovo Joao Braz de Aviz.
Romilda Ferrauto, responsabile della redazione francese della nostra emittente,
ha chiesto al cardinale Rodè di tracciare un bilancio del suo lavoro, intensamente
vissuto tra i religiosi e le religiose di tutto il mondo:
R. – I religiosi
nella storia della Chiesa e nella storia del mondo sono stati sempre dei focolai di
animazione spirituale e di dinamismo missionario. Possiamo dire che le grandi riforme
nella storia della Chiesa sono state frutto dell’opera dei religiosi: pensiamo a San
Benedetto, a San Bernardo, a San Francesco, a San Domenico, a Sant’Ignazio di Loyola.
E sono stati – e questo è singolare – anche i più perseguiti della storia, e i più
canonizzati.
D. - Durante i suoi anni di servizio, lei, eminenza, ha
potuto visitare molte comunità religiose sparse per il mondo. Quale impressione ne
ha ricavato?
R. - Oggi, i religiosi rappresentano, più o meno, un milione
e 100 mila uomini e donne e sono una presenza giovane e dinamica in America Latina,
in Africa, in Asia. Ultimamente sono stato in Angola, un anno prima in Cameroun e
ancora in Bolivia: ho visto un’opera meravigliosa svolta dai religiosi nell’amore
a Cristo, ma anche opere sociali molto importanti da loro realizzate: ambulatori,
ospedali, asili per bambini, scuole... Tutto questo, con una dedizione ammirevole.
D. - Nonostante la grande dedizione che lei ha riscontrato, è innegabile
– e anche il Papa lo ha riconosciuto – che la vita religiosa non sia purtroppo immune
da una certa perdita di identità…
R. - La vita religiosa è oggi in difficoltà
e questo bisogna riconoscerlo. La secolarizzazione ha penetrato molte comunità e molte
coscienze. La secolarizzazione si esprime in una preghiera senza raccoglimento e spesso
formale e danneggia il concetto di obbedienza, introducendo una certa mentalità "democratica",
che esclude il ruolo dell’autorità legittima. Con la secolarizzazione si corre il
pericolo di trasformare le opere di carità in servizi sociali e questo a danno dell’annuncio
del Vangelo: si preferisce una società di benessere, piuttosto che un segno escatologico.
Questi segni di secolarizzazione sono presenti un po’ ovunque, ma soprattutto sono
presenti nel mondo occidentale. Il mio sforzo, come prefetto dei religiosi, è stato
quello di cercare di superare questa mentalità di secolarizzazione e di riaffermare
i valori fondamentali della vita consacrata: facendo dei religiosi e delle religiose
quello che dovrebbero essere e cioè una forza di rinnovamento della Chiesa. In questi
miei sforzi, mi sono appoggiato sulle forze sane delle Congregazioni tradizionali
- perché queste forze esistono – così come sulle nuove correnti spirituali che si
manifestano nella Chiesa.
D. - Queste nuove esperienze religiose possono
essere considerate, eminenza, una risorsa per la Chiesa contemporanea, come i grandi
carismi lo furono per quella del passato?
R. – In effetti, nuove comunità
religiose sorgono contro lo spirito di secolarismo. Sorgono in Francia, in Spagna,
in Italia, in Brasile, in Perù, negli Stati Uniti. Queste comunità danno grande importanza
alla preghiera e alla vita fraterna vissuta in comunità; insistono sulla povertà e
sull’obbedienza: tutti portano l’abito religioso, segno visibile della loro consacrazione.
Queste nuove comunità richiamano l’uomo al suo destino trascendente e costituiscono
una forza di rinnovamento, di cui la Chiesa ha un gran bisogno. (mg)