La cooperazione tra le religioni come strumento al servizio della società
Per decisione delle Nazioni Unite, ogni anno il mese di febbraio prenderà il via con
il festeggiamento della “Settimana Mondiale dell’armonia tra le confessioni”. La Radio
Vaticana vuole soffermarsi sul significato di questa importante celebrazione, dedicando
al tema del dialogo interreligioso l’editoriale della sua pagina sull’Africa. Gesù
ha mostrato l’amore di Dio Padre al mondo, rimanendo fedele alla “causa dell’uomo”
fino alla morte e poi con la resurrezione. Una testimonianza forte dell’amore che
Dio ha per ogni singola persona, al di là del credo religioso. Il messaggio affidato
da Cristo ai discepoli è il sacramento dell’unità, un invito a darne testimonianza
davanti all’umanità, con il compito di migliorare il mondo nel quale viviamo. L’aprire
noi stessi ad accettare doni spirituali da altri cristiani e dai seguaci delle altre
religioni stimola la nostra capacità di percepire la luce della verità che viene dallo
Spirito Santo. Ma esige anche lo spazio di libertà nella vita delle società. Come
affermato dal Principe Ghazi Bin Mohammad di Giordania in occasione della proclamazione
da parte dell’ONU della Settimana per l’armonia, “Le religioni devono essere parte
delle soluzioni e non dei problemi”. In Africa i gruppi religiosi sono considerati
dalla maggioranza degli Stati come partner, dinanzi alla istanze delle popolazione
come la povertà, i conflitti armati e tutte le violazioni dei diritti dell’uomo. Infiniti
casi di successo mostrano come quando le diverse comunità religiose si mobilitano
in maniera coordinata, riescono ad avere un impatto decisamente positivo in favore
delle componenti bisognose della società. Possiamo ricordare ad esempio la valida
testimonianza fornita dall’attività del Consiglio africano dei leader religiosi (ACRL)
in favore della promozione della cooperazione tra diverse confessioni, finalizzata
al rafforzamento della pace e allo sviluppo sostenibile. E, nello specifico della
Chiesa cattolica, i vescovi africani hanno rinnovato il loro impegno in favore dell’assunzione
di una posizione comune di tutte le religioni dinanzi alle sfide contemporanee nel
Messaggio conclusivo e nella Lista Finale delle Proposizioni del Secondo Sinodo per
l’Africa. In questi due documenti si legge che:
“Il dialogo e la collaborazione
prospereranno quando c’è rispetto reciproco (…) Il rispetto reciproco è la strada
da percorrere. Nel nuovo mondo che sta nascendo, abbiamo bisogno di dare spazio ad
ogni fede perché contribuisca pienamente al bene dell'umanità (…)
La pace in
Africa come in altre parti del mondo è ampiamente condizionata dalle relazioni tra
le religioni. Perciò, la promozione del valore del dialogo è importante perché i credenti
lavorino insieme nelle associazioni dedite alla pace e alla giustizia, in mutuo spirito
di fiducia e sostegno, e si insegnino alle famiglie i valori dell’ascolto paziente
e del rispetto reciproco senza paura. Il dialogo con le altre religioni, specialmente
l’Islam e la religione tradizionale africana, è parte integrante della predicazione
del Vangelo e dell’attività pastorale della Chiesa in nome della riconciliazione e
della pace (…) I Padri sinodali pregano che l’intolleranza e la violenza religiose
diminuiscano e vengano eliminate per mezzo del dialogo interreligioso. L’importante
evento ecumenico e interreligioso di Assisi (1986) ci fornisce un modello da seguire
(…) La libertà religiosa e la libertà della propria ricerca di Dio come Creatore
e Salvatore, sono diritti umani fondamentali. Perciò i Padri sinodali raccomandano
che tutte le nazioni in Africa riconoscano e proteggano la libertà religiosa e la
libertà di culto.”***A conclusione di questa breve riflessione sull’importanza del
dialogo religioso al servizio della società, proponiamo di seguito un estratto di
un’intervista a mons. Vincent Landel, arcivescovo di Rabat e Presidente della Conferenza
Episcopale Regionale dell’Africa del Nord, realizzata da Romilda Ferrauto, redattrice
del programma francese della Radio Vaticana. Mons. Landel fornisce un commento
sulle drammatiche violenze politiche e sociali che stanno attraversando l’Africa del
Nord e sulle sfide complesse della Chiesa in queste società:
R. - A partir
de tous les événements qui se passent actuellement, on va essayer… A partire da
quello che sta accadendo attualmente, cercheremo di crearci una visione un po’ più
chiara per comprendere meglio le situazioni. Penso in particolare alla Tunisia, dove
i vescovi hanno avuto un ruolo di primo piano. Parleremo di tutti questi argomenti
e poi valuteremo come porci in quanto cristiani: infatti noi tutti siamo, in pratica,
cristiani stranieri ed abbiamo un certo dovere di discrezione nei riguardi del Paese
che ci accoglie.
D. – Qual è il ruolo dei cristiani, in un contesto simile? R.
– Je dirais que la place des chrétiens elle est nulle: … Direi che il ruolo dei
cristiani è inesistente: lo straniero non parteciperà alle manifestazioni, non sfilerà
dietro ad una bandiera, perché altrimenti sarà costretto a lasciare il Paese. Il ruolo
dello straniero è quello di continuare a vivere in spirito di incontro con i nostri
amici musulmani, a parlare con loro, ma non a prendere il loro posto per quanto riguarda
decisioni di ordine politico o addirittura sociale.
D. – Se ho capito bene,
i cristiani devono rimanere neutrali? R. – On les écoute, on leur dit que l’on
est avec eux, d’une certaine façon, … Li ascoltiamo, li rassicuriamo perché siamo
con loro, in un certo senso, ma non possiamo dire loro che siamo da una parte piuttosto
che da un’altra. E soprattutto, noi siamo quasi nulla, in questo Paese: se ad esempio
consideriamo il Marocco, siamo 25 mila su una popolazione di 35 milioni di persone.
Nemmeno una goccia d’acqua nel mare. Oltretutto, siamo cristiani di passaggio. Per
quanto riguarda la Tunisia, credo siano pochi ormai, anche tra i preti ed i religiosi,
che ricordano i tempi di Bourguiba. Credo esista il dovere di discrezione; per contro,
se per una ragione o per l’altra ci verrà richiesta una partecipazione in ambito di
accompagnamento o di associazione, risponderemo al momento. Si tratta dello sviluppo
di un popolo.
D. – Non avete paura che l’attuale incertezza possa favorire
la presa di potere da parte dei fondamentalisti? R. – Le fondamentaliste dont on
a peur en Tunisie, qui se trouve a Londres depuis… Il fondamentalista del quale
si ha paura, in Tunisia, si trova a Londra da vent’anni ed il suo rientro è previsto
per domenica. Egli ha detto che non ha nessuna intenzione di creare un governo islamista
e mi pare che abbia detto che non intende nemmeno fare parte del governo. Ho la forte
impressione, soprattutto quando penso all’Europa, che vi sia un terrore mostruoso
nei riguardi dell’islam e che quindi lo si trasformi in fondamentalismo. L’islam è
la religione vissuta da uomini e donne.
D. – Eppure, ci sono attentati terroristici
ogni giorno, e questo è un fatto… R. – Certains, c’est vrai, peuvent être fondamentalistes
et extrémistes, mais c’est… E’ vero, alcuni sono fondamentalisti ed estremisti,
ma si tratta veramente di una minoranza molto piccola. Credo che sia necessario che
in Europa si impari ad accettare il fatto che un musulmano non è il “diavolo”. Smettiamola
di avere paura dei fondamentalisti. Quello che è accaduto in Egitto, quello che accade
in Iraq … io non potrei dire che si tratti di una faccenda di musulmani contro cristiani:
si tratta di una faccenda di piccoli gruppi di musulmani contro cristiani; sono anche
morti dei musulmani, e ne muoiono tutti i giorni. Personalmente, ho rapporti molto
franchi e molto amichevoli con dei musulmani: sono sicuro che la stessa cosa facciano
i miei fratelli in Tunisia, in Algeria. (gf)