Filippine, governo e ribelli negoziano a Oslo un nuovo processo di pace
Il governo filippino e i ribelli comunisti del Fronte democratico nazionale (NDF)
si sono riuniti a Oslo per avviare con la mediazione norvegese un nuovo processo di
pace. Gli ultimi negoziati tra le due parti, conclusisi senza alcun risultato concreto,
risalgono al 2004. I colloqui di Oslo che verranno condotti a porte chiuse si concentreranno
soprattutto su tematiche di tipo economico sociale, ma in un clima di grande tensione
a causa del recente arresto di uno dei leader del NDF. Sulle aspettative di questi
colloqui riflette Carlo Filippini, docente di economia all’Università Bocconi
di Milano ed esperto di Asia orientale, intervistato da Stefano Leszczynski:
R. - Questo
è certamente un segnale positivo e molti sperano che porti davvero a una conclusione.
Nello stesso tempo, non dobbiamo dimenticare che la ribellione comunista ha una vita
di più di 40 anni e che ci sono stati molti altri episodi di trattative che non hanno
avuto più nessun esito, di violazione di accordi che erano stati sottoscritti dal
governo e dal partito comunista con i ribelli. Tutte queste difficoltà fanno sorgere
qualche scetticismo sulla reale possibilità che si concluda un accordo di pace definitivo.
D.
– Tra i temi che verranno discussi spiccano soprattutto quelli di tipo economico e
sociale, compresa la questione della riforma agraria. Ma resta un punto di fatto,
e cioè l’incompatibilità tra gli scopi delle due parti che siedono al tavolo delle
trattative...
R. – Infatti, la ribellione comunista - soprattutto nella
parte meridionale del Paese, dove si accompagna ed è alleata all’insorgenza musulmana
- deriva soprattutto da condizioni sociali e politiche delle minoranze locali, che
si sentono trascurate dal governo centrale. Nello stesso tempo bisogna ricordare che
entrambi, il governo, e più esattamente la classe politica e militare delle Filippine,
e dall’altro lato il partito comunista delle Filippine sono molto scettici su un accordo
negoziato e, in un certo senso, preferiscono la soluzione di forza, la soluzione finale
che porti a sbaragliare l’avversario.
D. – Questi negoziati avviati
con i ribelli comunisti possono essere letti nello stesso contesto dei negoziati che
sono stati avviati dal governo con i ribelli islamici del sud delle Filippine?
R.
– In effetti, c’è un parallelismo e un tentativo del governo delle Filippine di conseguire
una tregua con i ribelli musulmani, in modo da poter concentrare le proprie forze
contro i ribelli comunisti. L’insorgenza comunista è quella che viene ritenuta la
più grave all’interno del Paese, perché non riguarda solo alcune province meridionali
e perché avrebbe, come scopo finale, non tanto un distacco o una fortissima autonomia
di parte del territorio delle Filippine, ma proprio il rovesciamento dell’ordine sociale
e politico attuale del Paese. (ap)