2011-02-13 14:24:55

Egitto: prima riunione del governo di transizione. Nella Striscia di Gaza, intanto, situazione ancora più difficile dopo la rivolta in Egitto


A due giorni dalle dimissioni di Mubarak in Egitto si apre l’attività del governo di transizione, presieduto dal primo ministro Ahmad Shafik, che si è riunito per la prima volta questa mattina per esaminare la situazione interna. Intanto il Consiglio supremo delle forze armate manda segnali positivi alla comunità internazionale confermando i trattati di pace con Israele. Il servizio di Marco Guerra: RealAudioMP3

Le priorità del governo egiziano, dopo le dimissioni del presidente Hosni Mubarak, sono il ripristino della sicurezza e il ritorno alla vita normale per la popolazione. Lo ha detto ieri sera il primo ministro Ahmed Shafiq alla televisione di Stato, dopo aver incontrato il capo del Consiglio supremo militare, Mohammed Hussein Tantawi. I due poteri, quello civile e quello militare, mostrano una certa comunità di intenti. Il consiglio dei 16 generali guidati dal ministro della difesa conferma infatti che il governo attuale resterà in carica fino alla formazione di un nuovo esecutivo che aprirà la strada ad una autorità eletta per costruire uno Stato libero e democratico. Al riconoscimento del governo si aggiunge anche quello dei trattati di pace con Israele che assicurano l’intera stabilità della regione mediorientale. Grande soddisfazione è stata espressa dal premier israeliano Benjamin Netanyahu e dalla Casa Bianca. E l’esercito vuole un ritorno alla normalità anche per le strade e nei luoghi simbolo della rivolta. Questa mattina i militari hanno chiesto di smontare le tende e di sgomberare pizza Tahrir ai 2000 manifestati accampati da oltre 15 giorni. E non sono mancati momenti di tensione: la polizia militare ha sparato in aria mentre i manifestati chiedevano a gran voce l'annullamento della legge d'emergenza in vigore dal 1981. Intanto in Egitto si aprono i giochi politici in vista del voto. Ieri Amr Moussa ha annunciato le sue imminenti dimissioni da capo della lega araba. In molti lo leggono come il segnale di una sua probabile candidatura.

Nei giorni scorsi, parallelamente alle manifestazioni di piazza in Egitto per chiedere le dimissioni di Mubarak, si sono svolte dimostrazioni anche nella Striscia di Gaza. Le condizioni di vita nella zona controllata da Hamas, dov’è ancora in atto il blocco imposto dalle autorità israeliane, rimangono difficili nonostante lo Stato ebraico nel giugno 2010 abbia autorizzato la circolazione di alcune merci civili, ad esclusione di materiali quali acciaio e cemento. Secondo dati rilevati dall’Agenzia delle Nazioni Unite a sostegno dei profughi palestinesi, la disoccupazione nella Striscia di Gaza ha raggiunto il 45 per cento all’inizio di quest’anno. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente il parroco della Sacra Famiglia a Gaza, il padre argentino Jorge Hernandez: RealAudioMP3

R. – La Striscia di Gaza ha evidentemente risentito del periodo di cambiamento in Egitto, soprattutto in questo primo momento, in cui a causa della stessa situazione si è fermato un certo sviluppo che si poteva intravedere qui a Gaza. Com’è risaputo, Gaza vive grazie ai tunnel. In queste settimane, alcuni articoli - come cibi e prodotti relativi all’igiene e alla pulizia - proprio perché non entrano dall’Egitto tramite i tunnel non si trovano. Inoltre sono aumentati i prezzi: il gas, ad esempio, non si trova; la benzina è costosissima.

D. – Come vive la Striscia di Gaza in questi mesi? Quali sono le condizioni di vita della popolazione?

R. – La situazione dell’Egitto si ripercuote sulla Striscia di Gaza, però certi problemi non sono causati dalla situazione egiziana ma dal blocco. Ad esempio, si fa sentire molto la mancanza di lavoro. Per quanto riguarda la situazione sanitaria, ci sono persone che magari non trovano le medicine o il necessario per la loro salute e hanno grande difficoltà ad uscire dalla Striscia. Questa, purtroppo, è la vita a Gaza.

D. – Lei è parroco da circa due anni a Gaza. Come si svolgono le attività alla parrocchia?

R. – I cristiani, a Gaza, vivono innanzi tutto come palestinesi. Poi per i cristiani la Chiesa è tutto, sia nel senso sociale sia come rifugio. Talvolta la Chiesa aiuta anche economicamente molte famiglie nel sostentamento quotidiano. Non è, dunque, solo un luogo di preghiera ma è anche un luogo di ritrovo sociale, di ‘terapia’ se vogliamo. La Messa domenicale non vuol dire solo Messa e poi ognuno a casa sua: restiamo insieme, parliamo, è davvero un forte momento comunitario perché incoraggia ad andare avanti. Un altro esempio: abbiamo in parrocchia l’oratorio festivo per i giovani ed i bambini; lavoriamo con la Chiesa ortodossa, comunque in nome di un solo Signore e di una sola fede.

D. – Quanti sono i cristiani a Gaza?

R. – I cristiani sono circa tre mila. La maggior parte è ortodossa. I latini sono 206. Un altro apostolato molto importante riguarda la visita ai malati e le riunioni settimanali per i matrimoni, soprattutto con i giovani, per accompagnarli nella loro vita, nella loro strada.

D. – Qual è l’auspicio della Chiesa di Gaza per il futuro della popolazione?

R. – Creare una speranza, altri valori. Si deve avere pazienza. Questo è quello che dà coraggio. (vv)








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