Gli 80 anni della Radio Vaticana: dalle onde ai bit, quando i Papi sconfissero la
babele delle lingue
Un microfono aperto per amplificare nel mondo la voce dei Papi, raccontare la vita
delle Chiese di ogni angolo del pianeta, difendere la fede cristiana da chi la considera
superata o scomoda. Sono 80 anni che generazioni di giornalisti, di tecnici e di altre
maestranze si mettono ogni giorno al lavoro alla Radio Vaticana per assolvere a questo
preciso servizio. Con Benedetto XVI, sono sette i Pontefici che si sono avvalsi di
questo strumento, che il primo fra loro, Pio XI, definì un “poderoso mezzo materiale
per la diffusione dell’Idea”, cioè il Vangelo. E ad ogni traguardo raggiunto, ciascun
Papa non ha dimenticato di celebrare l’importanza della “sua” Radio, come ricorda
in questo servizio Alessandro De Carolis:
(musica)
Ottant’anni
di storia mostrano, della Radio Vaticana, un aspetto incontestabile: la più moderna
tecnologia non ha mai snaturato la sua anima più antica. Né i pesi della storia hanno
reso meno veloci i suoi messaggi. È un principio che vale da quando chi la volle,
Pio XI, per primo tracciò nell’etere la traiettoria di un contenuto e di uno stile:
la Radio del Papa intende parlare delle cose del cielo a chi sta sulla terra, senza
distinzioni. E vuole farlo in quante più lingue possibili, quasi a voler sancire la
sconfitta di Babele, dove all’inizio del mondo la diversità di idiomi oscurò la comprensione
di Dio, mentre l’accordo col quale oggi lavorano le oltre 40 lingue portate al microfono
può aiutare a ritrovare il sentore di quella perduta unità.
La grande
storia parte con la cronaca di un memorabile pomeriggio. Sono circa le 16.40 e una
leggera tramontana serpeggia tra la folla riunita sulla collinetta alle spalle della
Basilica di San Pietro, sede della nuova Statio Radiofonica della Città del
Vaticano. Il 56.enne Guglielmo Marconi – celebrato genio della fisica ma soprattutto
principale autore delle portentose macchine che da ore stanno rombando a pieno regime
– si avvicina al grande microfono e dice:
“Ho l’altissimo onore di annunziare
che fra pochi istanti il Sommo Pontefice Pio XI inaugurerà la Stazione radio dello
Stato della Città del Vaticano. Le onde elettriche trasporteranno in tutto il mondo,
attraverso gli spazi, la sua parola di pace e di benedizione. Per circa 20 secoli,
il Pontefice Romano ha fatto sentire la parola del suo divino magistero nel mondo,
ma questa è la prima volta che la sua viva voce può essere percepita simultaneamente
su tutta la superficie della terra…”.
Gli sguardi sono ora tutti su
Pio XI. Questi si alza dalla poltrona rossa, guadagna il tozzo microfono lasciato
libero da Marconi e comincia a parlare. Sono le 16,49 e mezzo mondo – da New York
a Melbourne – sta ascoltando in simultanea. È il “miracolo” del primo Papa che conquista
la dimensione dello spazio-tempo:
(parole in latino)
“…Ci
rivolgiamo primieramente a tutte le cose e a tutti gli uomini, loro dicendo, qui e
in seguito, con le parole stesse della Sacra Scrittura: ‘Udite, o cieli, quello che
sto per dire, ascolti la terra le parole della mia bocca. Udite, o genti tutte, tendete
l'orecchio, o voi tutti che abitate il globo, uniti in un medesimo intento, il ricco
e il povero. Udite, o isole, ed ascoltate, o popoli lontani’”.
In principio,
dunque, è il magistero “hertziano”. Cinque dei sette Papi della Radio viaggeranno
solo sulle onde. Da questa impalpabile via di comunicazione si scrivono pagine di
storia, come quando nel radiomessaggio del 24 agosto 1939 Pio XII invita le nazioni
a desistere dai propositi bellici – “perché nulla è perduto con la pace, ma tutto
può esserlo con la guerra”. O si scrivono pagine di speranza, quelle contenute del
milione e 240 mila messaggi che la Radio Vaticana lancia dal ’40 al ’46, permettendo
a madri, mogli e fidanzate di avere notizie sulla sorte dei loro uomini, dispersi
o prigionieri di guerra. Finché, ristabilita la pace, arriva il momento di tornare
agli obiettivi iniziali, di allargare gli orizzonti, di garantire alla voce del Papa
e della Chiesa una gittata più vasta. Lo dichiara lo stesso Pio XII, il 27 ottobre
1957, inaugurando il Centro Trasmittente di Santa Maria di Galeria e trovando, per
l’occasione, accenti simili a quelli di Pio XI:
(parole in latino)
“Ascoltate
o popoli lontani, porgete tutti l’orecchio; dalla nuova Stazione Radio Vaticana, da
questa selva di antenne, cui sovrasta, alta e invitta la Croce, segno di verità e
carità, si rivolge a voi la nostra parola (…) L’invenzione della Radio mette a disposizione
nuovi mezzi e nuove energie perché si adempia su più larga scala e più facilmente
il comandamento dato da Gesù agli Apostoli (…) Predicate il vangelo ad ogni creatura”.
Gli
Anni Sessanta sono quelli dell’affermazione della tv, la “sorella della radio”, come
dirà Giovanni XXIII. Ma sono anche gli anni del Concilio, “fucina” di pensiero e di
spirito che cambierà per sempre la Chiesa. La Radio Vaticana racconta per intero le
fasi dell’assise – tremila ore di trasmissione, 30 lingue al microfono – mentre, su
un altro versante, si ingegna nell’inventare trasmissioni che portino al di là dei
muri, dove la Chiesa è silenzio e in schiavitù, il soffio della novità che spira da
Roma. Dirà Papa Roncalli il 12 febbraio 1961, celebrando il 30.mo dell’emittente vaticana:
“Le
onde radiofoniche poste a servizio del perenne magistero della Chiesa diffondono così
un invito alla verità, che sola può salvare l'uomo dal pericolo di arrendersi alle
inclinazioni sensibili, restituendolo alla sua dignità di figlio di Dio. Esse sono
monito a dire la verità, a vivere in essa (…) E diffondono ed amplificano ancora un
invito alla carità, per il superamento — nel reciproco rispetto — delle barriere di
nazionalità, di stirpe, di distinzioni sociali, per richiamare all'alto bene della
unione, della mutua collaborazione, dell'intesa concorde e costruttiva”.
Storia
religiosa, cultura biblica, approfondimenti spirituali. E ancora, il catechismo sminuzzato
al microfono per adulti e bambini e la critica serrata alle ideologie che servono
i totalitarismi. Dal suo esordio nell’etere, la Radio Vaticana ha sempre prodotto
trasmissioni di “formazione”. L’informazione c’è, ma si limita essenzialmente alle
vicende vaticane; le cronache di altro genere, di taglio più giornalistico, non hanno
ancora i loro spazi. Chi inverte questo senso di marcia è Paolo VI. Nell’etere che
si va affollando di voci, Papa Montini vuole che la Radio Vaticana non si più solo
un altoparlante del magistero, ma un opinion maker, incisivo, che dica la sua
su ciò che accade nel mondo. Intenzioni nette, che Paolo VI dichiara il 30 giugno
1966, tra i macchinari del Centro di Santa Maria di Galeria:
“La soddisfazione,
che Ci procura questa visita, Ci suggerisce a confidare a voi tutti, che stimiamo
amici della Nostra Radio-Vaticana, il proposito di darle nuovi perfezionamenti e nuovi
incrementi, specialmente per quanto riguarda il settore dei programmi. È questa la
parte principale dell’opera relativa alla Radio: cioè il suo scopo, il suo uso, la
sua effettiva utilità. A nulla servirebbe avere un magnifico strumento, se poi non
lo sapessimo magnificamente adoperare”.
Non riuscirà a servirsi della
“sua” Radio, perché un superiore disegno ha disposto altrimenti. Ma le intenzioni
c’erano tutte. Giovanni Paolo I è il Pontefice dal tratto amabile che passa “come
una meteora nel cielo della Chiesa”, come scrisse Fernando Bea nel libro che racconta
i primi 50 anni di vita della Radio Vaticana. Tuttavia, sei giorni dopo l’elezione,
nella tradizionale udienza riservata ai giornalisti che avevano seguito il Conclave,
Papa Luciani fa una promessa allo stuolo di cronisti davanti a lui. È il 1 settembre
1978:
“La promessa di un'attenzione speciale, di una franca, onesta
ed efficace collaborazione con gli strumenti della comunicazione sociale, che voi
qui degnamente rappresentate. E' una promessa che volentieri vi facciamo, consapevole
come sono della funzione via via più importante che i mezzi della comunicazione sociale
sono andati assumendo nella vita dell'uomo moderno.”
Poi, arriva da
lontano il Papa che renderà il mondo più vicino. Giovanni Paolo II è l’uomo che raggiunge
latitudini inesplorate da un successore di Pietro, percorrendole da atleta di Dio
e da uomo piegato dalla croce. La Radio Vaticana lo segue metro dopo metro nel milione
e passa di chilometri dei suoi viaggi all’estero, raccogliendo e archiviando le migliaia
di ore dei suoi discorsi. Gli è accanto, sempre: quando cade colpito il 13 maggio
’81 e quando risorge con la Chiesa dopo l’89, e avanti fino alle masse felici del
grande Giubileo (6 mila ore di trasmissione) e a quelle in lacrime la sera del 2 aprile
2005. La Radio dei Papi svolge un servizio prezioso e nella sua visita alla sede dell’emittente
del 5 febbraio 1980, Giovanni Paolo II lo certifica con parole tanto più significative
se si considera che a pronunciarle è un uomo venuto dall’est:
“Si sforza
di rendere presente il cuore stesso della Chiesa ad ogni sua parte, soprattutto collegando
immediatamente con la sede di Pietro e tra loro quelle Chiese locali che si trovano
in precarie condizioni di libertà religiosa. So per esperienza personale quanto la
voce della Radio Vaticana sia attesa per confortare la fede e sostenere la speranza
dei credenti”.
E poi fu il magistero “digitale”. L’epoca, la nostra,
è preda di sigle anglofone, ognuna delle quali rappresenta una pista della grande
fuga in avanti prodotta dalla comunicazione degli ultimi 15 anni, da quando Internet
ha concentrato il mondo in una stanza. Bit, mail, web, link, blog, podcast, Youtube,
Twitter e così via, navigando nel magma di un vocabolario infinito. La Radio si adegua:
adesso la voce del Papa “scende” sempre più spesso dalle onde per viaggiare via cavo.
Ma sempre in tutte le lingue possibili. E sempre richiamata dai Papi, che la spingono
all’avanguardia, a ricordare l’antico principio. Come fa Benedetto XVI, il 3 marzo
2006, quando visita la Radio che compie 75 anni:
“Continuate, cari amici,
ad operare nel grande areopago della comunicazione moderna (...) Ma non dimenticate
che, per portare a compimento la missione affidatavi, occorre certo un'adeguata formazione
tecnica e professionale, ma è necessario soprattutto che coltiviate incessantemente
in voi uno spirito di preghiera e di fedele adesione agli insegnamenti di Cristo e
della sua Chiesa”.