Violenze in Indonesia. La società civile accusa il governo per la mancanza di sicurezza
C’è sdegno in Indonesia per il moltiplicarsi delle violenze e dell’odio interreligioso;
la società civile punta il dito contro il governo e le autorità, accusate di essere
incapaci di garantire la sicurezza dei cittadini. Tra gli ultimi episodi registrati
c’è quello del 6 febbraio scorso a Banten, nell’isola di Java, in cui sono stati uccisi
tre Ahmadi, e quello di due giorni fa contro la comunità musulmana, cui si sono accompagnate
devastazioni contro tre chiese, un orfanotrofio e un centro sanitario cristiani nella
reggenza di Temanggung, Java centrale. A rimanere danneggiate sono state, in particolare,
la chiesa cattolica di San Pietro e Paolo, la chiesa protestante Bethel e il centro
Shekinah. “Gli atti di vandalismo contro proprietà altrui non sono una buona soluzione
– ha commentato all'agenzia AsiaNews mons. Johannes Pujasumarta, arcivescovo di Semarang
– se rispondiamo alla violenza con altra violenza si rischia di innescare una spirale
senza fine”. Forti le accuse da parte della società civile musulmana: “Lo Stato è
disarmato quando deve fronteggiare i gruppi estremisti – ha detto lo studioso Nahdlatul
Ulama del movimento moderato – le forze di polizia non riescono a far rispettare la
legge perché soggiogate dalle minacce dei fondamentalisti”. Il leader musulmano auspica
la creazione di un regolamento che indichi come mantenere l’armonia tra le religioni,
promuovendo il dialogo e l’applicazione della legge. Secondo gli attivisti, inoltre,
una delle principali cause delle continue violenze confessionali è l’entrata in vigore,
lo scorso anno, di un decreto che proibisce agli Ahmadi di praticare la propria fede
in pubblico e li costringe a rinunciare all’evangelizzazione. Di questo provvedimento,
paragonato alla legge sulla blasfemia del Pakistan, si chiede l’abrogazione. (R.B.)