2011-02-10 17:38:38

Giornata del Ricordo: Napolitano commemora le vittime delle Foibe


L’Italia celebra oggi la Giornata del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe. In queste cavità carsiche, si calcola, siano stati gettati, vivi e morti, circa 10mila italiani per mano dei partigiani comunisti slavi. In una cerimonia al Quirinale il presidente Napolitano ha ricordato i drammatici eventi. “Il sacrificio delle generazioni che ci precedono, ha detto, non è stato versato invano se oggi possiamo costruire un avvenire migliore per i nostri popoli e per l’Europa”. Il servizio di Debora Donnini. RealAudioMP3



Ma cosa ha rappresentato la violenza delle foibe e il dramma dell’esilio per chi lo ha vissuto? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Lucio Toth presidente dell'Associazione Nazionale Venezia-Giulia e Dalmazia, esule all’età di 8 anni da Zara:RealAudioMP3

R. – Quello che è stato fatto con le Foibe era tipico del modo di procedere dei regimi staliniani, quello cioè di eliminare i nemici del popolo con lo strumento più feroce di soppressione, di pulizia etnica, armata da un’ideologia di rivendicazioni sociali; però, in realtà, finì per colpire immediatamente tutti. Poi, una cosa molto grave era anche il fatto religioso: vennero proibite le feste, vennero proibite le cresime, i battesimi e 32 sacerdoti vennero uccisi.

D. – Che ricordo conserva delle persecuzioni, dell’esilio?

R. - Il senso dello sradicamento. Già nel momento in cui lasciai Zara avevo l’impressione che non sarei più tornato. Quindi, è stato questo senso di sradicamento e, la cosa peggiore, di abbandono da parte dello Stato italiano, perché i soldati italiani fuggirono dopo l’8 settembre e noi rimanemmo prima in balia dei tedeschi e poi dei partigiani jugoslavi.

D. – Anche grazie a questa giornata c’è sufficiente memoria, anche conoscenza di quanto accadde allora?

R. – La gente cade dalle nuvole ancora oggi, anche persone di cultura. Anzi proprio a livello popolare le persone anziane ricordano quegli anni per averli sentiti dai loro amici. Ecco perché stiamo tanto lottando, perché dobbiamo passare alla seconda generazione e poi alla terza. Una fortuna che abbiamo è che questa vicenda sia diventata un fatto emblematico di come si possa essere perseguitati, perché oggi queste cose continuano a succedere: nel Kosovo e in Bosnia ci sono ancora pericoli; fuori dall’Europa poi abbiamo delle difficoltà per i cristiani o per le minoranze etniche.

D. – Questi fatti voi come li vivete?

R. – I sentimenti che noi abbiamo sono di grande di dolore quando viene incendiata una chiesa in Iraq, perché ci ricordiamo quello che è successo da noi: non si poteva fare una processione che arrivavano i miliziani di Tito a disperderla, cacciando i bambini, rimandandoli nelle scuole, con i preti che fuggivano con l’ostensorio sotto la pianeta per proteggerlo dagli insulti. Questi sono ricordi che tanti di noi hanno ancora negli occhi.

D. – In merito invece all’identità italiana, per voi un valore, che effetto vi fanno le polemiche e gli scetticismi?

R. – Noi sentiamo che la cultura e la lingua sono un legame molto forte che va al di là delle condizioni economiche, che certamente in Italia sono diventate molto dispari, ma questo non è certo colpa dei meridionali. Quindi, un federalismo solidale che desse alle regioni e ai comuni maggiore autonomia e libertà nella gestione delle riforme, per noi è una cosa positiva, purché non sia l’anticamera di una divisione del Paese: le sirene della secessione ci offendono.

D. – Qual è l’insegnamento da trarre dalla vostra storia che dia contenuto a questo anniversario?

R. – Il rispetto per la persona, la fiducia nella persona umana che va la di là delle differenze politiche, religiose, delle differenze etniche. Quando leggo le memorie di queste persone trovo il partigiano che veniva a bussare alla porta, la stessa porta alla quale due mesi prima veniva a bussare il soldato delle SS per portarci via un fratello, e poi tornano i “drusi”, come li chiamavamo noi, i partigiani jugoslavi, con la stessa violenza, per portare via un altro fratello e fucilare l’uno e l’altro: abbiamo vissuto questa esperienza duplice, quindi sappiamo bene che il vero nemico non si chiama “A” o “B”, ma è chi viola la sacralità della persona umana.(bf)







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