Detenuti e vittime: esperienza di incontro nel carcere di Opera a Milano
“Tra giustizia riparativa e misure alternative”: è il titolo del convegno che si terrà
domani pomeriggio a Milano per fare il punto sull’esperienza particolare vissuta nella
Casa di reclusione di Opera, nei pressi di Milano, con il progetto Sicomoro. Si tratta
dell’iniziativa promossa dall’Associazione Prison Fellowship che fa incontrare detenuti
e vittime di reati simili a quelli commessi da quei detenuti. Un’esperienza forte
e significativa già portata avanti in 117 Paesi e approdata in Italia per la prima
volta. Fausta Speranza ne ha parlato con la presidente di Prison Fellowship
Italia Marcella Reni, che è anche responsabile nazionale del movimento Rinnovamento
dello Spirito:
R. – Noi
mettiamo insieme le vittime ed i detenuti. Ad Opera, nel primo progetto sperimentato
di detenuti con crimini piuttosto significativi, con reati di omicidio, pluri-ergastolani,
abbiamo messo a confronto delle vittime di reati connessi. Si tratta quindi di sorelle,
mamme, papà a cui erano stati uccisi dei parenti dalla mafia, dalla ‘ndrangheta, dalla
criminalità. Non da quei detenuti ma da altri. In questa maniera, il detenuto prende
consapevolezza del tipo di danno che ha commesso, non soltanto dell’eliminazione fisica
di un uomo ma anche della sofferenza causata alla famiglia, della difficoltà, della
crisi spesso economica e delle crisi psichiche causate alle sorelle, ai parenti, ai
nipoti. Quando il detenuto si rende conto del grande dolore che ha causato, è vero
che non può far tornare in vita la persona che ha ucciso ma, in qualche maniera, può
riparare nei confronti della famiglia e della società.
D. – Nella vostra
esperienza la conoscenza del volto delle persone che hanno sofferto per delle azioni
compiute ha portato davvero ad una revisione di se stessi, di quello che si è fatto?
R.
– I risultati sono eccellenti su tutti e sette i detenuti, i quali hanno dimostrato
cambiamenti significativi testimoniati dagli educatori e dalle persone che li stanno
seguendo. Ma dico di più: i cambiamenti significativi li ho visti con i miei occhi
sulle vittime. Uno di loro in modo particolare, chiuso nel suo rancore, è un uomo
rinato, che nell’ultimo incontro testimoniava a vittime e detenuti presenti: “Ho trovato
la pace nel cuore” e ci ha invitati a far partecipare le figlie e la moglie ai prossimi
progetti Sicomoro.
D. – Però è difficile avvicinare le vittime e chiedere
di fare questo per delle persone che le hanno private del bene più grande, delle persone
care…
R. – E’ estremamente difficile. La ricerca più difficile, per
portare avanti questo progetto, non è stata quella dei detenuti ma quella delle vittime.
Però devo dire che anche i risultati più belli li abbiamo visti proprio sulle vittime.
Una ragazza che ha seguito il nostro percorso, 23enne, calabrese, cui hanno ucciso
un fratello 18enne per una ritorsione nei confronti del padre, che si rifiutava di
pagare una tangente, ecco, questa ragazza l’ultimo giorno ha scritto una lettera ai
detenuti dicendo: “Incredibilmente mi mancate. Tra me e voi sono cadute le barriere.
Allora, se questo è possibile nel dialogo, voglio sognare un mondo più giusto".
D.
– Questo è stato un progetto pilota. Ora porterete l'esperienza in diversi istituti
penitenziari d’Italia?
R. – Sì, perché dopo Opera partiremo – sono già
state selezionate vittime e detenuti – per il carcere di Rieti e di Poggioreale. E
poi abbiamo formato i volontari per cominciare una selezione anche per il carcere
di Palermo, l’Ucciardone.
D. – Che cosa chiedete alle strutture carcerarie?
Sicuramente ci vuole cooperazione da parte degli istituti…
R. – Gli
istituti devono semplicemente mettere a disposizione una stanza per un percorso di
otto settimane ed accogliere i volontari della nostra associazione Prison – che poi
sono due, tre, non di più – che entrano ogni settimana per seguire questo percorso.
Niente di più, solo questo.
D. – E per la formazione di coloro che devono
portare avanti questo progetto? Non è facile parlare ai detenuti ma neanche parlare
alle vittime…
R. – Per un anno intero abbiamo fatto cinque corsi di
formazione ai nostri volontari, che sono circa 100. Non richiediamo particolari competenze.
Certo, per la maggior parte sono uomini e donne di legge o psicoterapeuti, educatori
o assistenti sociali che si sono presentati per l’interesse ad agire nel mondo carcerario,
ma non è strettamente richiesto, perché il percorso del progetto Sicomoro di suo è
ben strutturato per preparare. (vv)