2011-02-09 14:57:43

Roma: lutto cittadino per la morte dei bimbi rom. Veglia di preghiera presieduta dal cardinale Vallini


Lutto cittadino oggi a Roma per Sebastian, Patricia, Fernando e Raul, i piccoli quattro rom, morti domenica notte nel rogo della loro baracca. Un minuto di silenzio nelle scuole e negli uffici comunali, sul Campidoglio le bandiere a mezz’asta. Oggi pomeriggio, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, si terrà la Veglia di preghiera presieduta dal cardinale vicario Agostino Vallini. Ieri intanto sono stati iscritti nel registro degli indagati i genitori dei piccoli, con l’accusa di reato di abbandono di minori. Il sindaco Alemanno, che ha chiesto ulteriori fondi per la costruzione di nuovi campi, ha ricevuto il rifiuto del ministro dell’Interno Maroni; immediata la risposta del sindaco: “Mi appellerò direttamente al premier”. Secondo il sindaco si potrà arrivare fino a 10 strutture autorizzate. Ma, chi da anni è impegnato al fianco dei Rom spiega che questa non è la soluzione. Francesca Sabatinelli ha intervistato Maria Luisa Longo, segretario nazionale dell’Opera Nomadi:RealAudioMP3

R. – La struttura organizzata, i cosiddetti 'villaggi della solidarietà' possono essere una soluzione transitoria ma sicuramente non sono la soluzione definitiva. Non credo che vivere in case prefabbricate, in una situazione di estrema concentrazione, lontano anche dai servizi primari, sia una soluzione perseguibile. Anche se, poi, in questi cosiddetti villaggi della solidarietà si portano servizi, presidi socio-educativi, arriva il pulmino con la scolarizzazione, comunque rimangono dei 'ghetti' dove sicuramente si vanno a perpetrare determinati atteggiamenti e comportamenti. Una delle soluzioni è sicuramente quella di accompagnare i vari nuclei in percorsi di autonomia.

D. - Anna Luisa Longo, questo significherebbe percorsi di autonomia, percorsi di integrazione, percorsi di ottenimento anche di case popolari?

R. – Quando si parla di case popolari si va sempre a toccare un nervo scoperto. E’ chiaro che essendoci non so quante migliaia di italiani o di stranieri con regolare permesso di soggiorno che lavorano, etc., in lista d’attesa, non si può andare a dire: dò al rom la casa popolare, perché questo verrebbe vissuto come un’ulteriore discriminazione all’incontrario, ovviamente. Ci sono dei percorsi che si possono fare. Basta fare un po’ di conti. Ad esempio, se si calcola quanto costa un villaggio della solidarietà, si può ipotizzare un percorso di accompagnamento all’autonomia, ad esempio dando alla famiglia un tot al mese come contributo per pagare l’affitto, finché poi la famiglia non si rende autonoma per pagare un affitto e per potersi comprare una casa. Ovviamente, tutto questo deve essere accompagnato da un percorso scolastico per i bambini e da un percorso lavorativo e formativo per i più giovani e lavorativo per i genitori.

D. - Sappiamo che il pensiero comune è quello che i primi a rifiutare questo percorso siano proprio i rom …

R. - Questo è un percorso fattibile, percorribile, già sperimentato. Quando pensiamo ai rom, noi pensiamo esclusivamente a quelli che vivono nelle baracche, nei canneti, o tutt’al più nei villaggi autorizzati. In realtà, i rom vanno in giro in varie città d’Italia, in piccoli paesi, e dappertutto hanno o affittato o addirittura comprato case. Quindi, sono percorsi perfettamente percorribili.

D. – Che a voi risulti c’è stato un incremento degli arrivi negli ultimi tempi? Si è raggiunto un numero allarmante di presenze?

R. – In Italia le presenze dei rom sono le minori in tutta l’Europa occidentale. Fra rom italiani e rom non italiani si conta circa lo 0,3 per cento della popolazione. Volendo esagerare sono 200 mila presenze su 60 milioni di persone. Una cifra abbastanza eloquente. Occuparsi in modo strutturato e strutturale dei rom non dà consenso politico, questa è l’unica cosa. Questa è stata una grandissima tragedia: quattro bambini rom bruciati in una baracca. Forse va dato un senso a queste morti, a questi sacrifici così assurdi; forse è il momento anche di cominciare a pensare di intervenire in un modo più strutturato e razionale e non lavorare sempre sull’emergenza. (bf)







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