Sud Sudan verso l'indipendenza: potrebbe essere uno dei Paesi più poveri del mondo
Nonostante i toni concilianti, con i quali il presidente del Sudan, Omar Al Bashir,
ha commentato positivamente il risultato del referendum che sancisce l’indipendenza
del Sud del Paese, si aprono ora delicate questioni relative alla definizione, entro
il 9 luglio, dei confini di quello che sarà il nuovo Stato e alla distribuzione delle
zone ricche di risorse petrolifere. Rimane, inoltre, ancora irrisolta la situazione
della regione nord-occidentale del Darfur, dove non si arrestano gli scontri armati
tra esercito di Karthoum e gruppi di opposizione. Le violenze stanno costringendo
migliaia di famiglie a fuggire dai propri villaggi. Di questi temi Giancarlo La
Vella ha parlato con padre Franco Moretti, direttore della rivista dei
Comboniani, “Nigrizia”:
R. – Rimangono
tuttora in piedi gli stessi problemi, che non sono stati risolti in sei anni, tra
il 2005 e il referendum: per esempio, lo status dei sud-sudanesi residenti al Nord
e dei nord-sudanesi che vivono al Sud. Si parla di due-tre milioni di persone. Difficoltosa
rimane, poi, la questione della ripartizione delle risorse. Ricordiamo che i pozzi
petroliferi sono per lo più al Sud o molto vicini al confine, soprattutto nella regione
dell’Abyei, dove si attende ancora che venga svolto il referendum. Ci si chiede che
cosa possa accadere. E’ ovvio che il Sud Sudan non vuole perdere questa regione, ma
è altrettanto ovvio che anche Karthoum non possa farne a meno. Rimane,
infine, anche la questione del debito estero. Si parla di un debito di 45 o 50 miliardi
di dollari. Come verrà spartita questa cifra colossale?
D. – In base
a questi problemi, e non solo, molti osservatori parlano dello Stato nascente come
una delle Nazioni più povere del mondo. Come fare ad uscire da questa situazione di
impasse?
R. – Esatto. Il dubbio nasce quando si pensa al fatto che i
leader politici del nuovo governo del Sud Sudan sono tutti ex militari, ex combattenti
della guerra civile. Loro forse non hanno ancora le necessarie capacità politiche
per realizzare le tante cose che mancano: non ci sono maestri, professori, medici
e addetti alla preparazione del personale sanitario, università. Speriamo solo che
ci sia la capacità da parte di questi leader di essere davvero responsabili di questa
nuova Nazione e che usino le tante ricchezze naturali per lo sviluppo di tutti.
D.
– Rimane la questione irrisolta della regione nord occidentale del Darfur…
R.
– Sì, l’unica speranza è che lo sforzo fatto dalla comunità internazionale per il
Sud Sudan si concentri ora sul Darfur e si arrivi presto ad un accordo di pace promosso
e sorvegliato dalla comunità internazionale: non si può più andare avanti accettando
una situazione come quella del Darfur. Ricordiamo che, dopo il genocidio rwandese,
la comunità internazionale disse a a gran voce: “Mai più un Rwanda!”. Ma in Darfur
siamo già arrivati a metà del bilancio delle vittime del Rwanda: i morti sono già
circa 500 mila, più 2 milioni gli sfollati e la comunità internazionale non sembra
proprio preoccupata di quanto sta avvenendo. Mi chiedo come sia possibile che non
si riesca ad intervenire sul regime di Karthoum, ad obbligarlo a venire
a patti con i popoli del Darfur, che non vogliono più essere considerati cittadini
di seconda classe in un Paese come il Sudan. (ap)