Il Concilio Vaticano II, bussola del Terzo Millennio: il dialogo con le religioni
non cristiane
Il 28 ottobre 1965 Paolo VI promulgava la Dichiarazione conciliare Nostra aetate sulle
relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Un documento importante che
rilanciava il dialogo interreligioso. Ce ne parla, per la nostra rubrica sul Concilio
Vaticano II, il padre gesuita Dariusz Kowalczyk:
Tutte le
religioni sono uguali? Tutte le religioni sono vere? La risposta a queste domande
deve essere “no”. Non si può, infatti, ragionevolmente sostenere che le affermazioni
“Gesù Cristo è Dio” e “Gesù Cristo non è Dio” sono uguali e allo stesso modo corrispondono
alla verità. Allora quale è la religione vera? Il Vaticano II insegna che la vera
religione è quella che “Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano” e che “crediamo
che questa unica vera religione sussista nella Chiesa cattolica e apostolica” (DH,
1). Allo stesso tempo nella Dichiarazione “Nostra aetate” il Concilio afferma che
“la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo” in altre religioni, le
quali “non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli
uomini” (n. 2). Così il dialogo interreligioso significa non il livellamento di tutte
le religioni, ma una ricerca comune della verità e un'azione comune per il bene di
tutti. Il dialogo però non pregiudica il compito della Chiesa di “annunciare, il Cristo
che è «via, verità e vita»” (n. 2). La “Nostra aetate” si riferisce soprattutto all’islam
e all'ebraismo. “La Chiesa – leggiamo – guarda con stima i musulmani che adorano l'unico
Dio” (n. 3). E oggi Benedetto XVI ripete quell'affermazione facendo notare che il
dialogo con l’islam deve essere “fondato sulla comune comprensione di libertà e verità”
(Luce del mondo, cap. 9). Per quanto riguarda l'ebraismo, il Concilio fa ricordare
che i cristiani sono “spiritualmente legati con la stirpe di Abramo” (n. 4). Tutte
le manifestazioni dell'antisemitismo quindi vengono condannate con forza. Il Vaticano
II non vuole però ridurre il dialogo con gli Ebrei alla tragedia della Shoah e afferma
che al reciproco rispetto si giunge soprattutto "con degli studi biblici e teologici
e con un fraterno dialogo” (n. 4). Allora, anche se nell’incontro tra le religioni
non si può evitare la politica, è Dio che sta al centro del dialogo interreligioso.