2011-02-07 14:35:11

Egitto: 14.mo giorno di proteste. L'opposizione: insufficienti le riforme proposte dal governo


E’ giunta al 14.mo giorno la protesta in Egitto contro il governo. Epicentro delle manifestazioni resta piazza Tahrir, al Cairo, dove migliaia di persone continuano a chiedere le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. I manifestanti hanno anche cominciato a diffondere un loro giornale, “Midan al Tahrir”, che porta il nome della piazza divenuta il simbolo delle proteste. L’obiettivo - spiegano i sostenitori del quotidiano - è di dar vita ad una “nuova comunità di giornalismo in Egitto”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3

La protesta contro Hosni Mubarak prosegue nonostante alcune aperture maturate ieri, dopo l’incontro tra il vice presidente egiziano, Omar Suleiman, e rappresentanti dell’opposizione. E’ stato assicurato, in particolare, che verrà creata entro marzo, con il coinvolgimento di tutte le forze politiche, una commissione per promuovere riforme costituzionali. Ma per l’opposizione radicale e in particolare per il gruppo dei “Fratelli musulmani” le riforme proposte sono insufficienti e incomplete. Il vice presidente egiziano ha inoltre rifiutato di assumere i poteri di Hosny Mubarak, come chiesto invece dagli schieramenti dell'opposizione. Negli Stati Uniti, intanto, il presidente Barack Obama ha auspicato “una transizione politica ordinata” per arrivare alla formazione di “un governo rappresentativo” che resti anche un “partner” di Washington. “E’ importante non credere – ha aggiunto Obama – che le uniche due opzioni siano i ‘Fratelli Musulmani’ o un popolo egiziano oppresso”. Al Cairo, poi, il governo del presidente egiziano Hosni Mubarak terrà oggi la prima riunione plenaria da quando sono iniziate le manifestazioni antigovernative. Proteste alle quali ieri hanno partecipato insieme, in piazza Tahrir, cristiani copti e musulmani, che hanno scandito gli stessi cori contro il presidente Mubarak. Intervenendo stamani proprio sulla complessa situazione in Egitto, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, ha dichiarato infine che “ogni forma di fanatismo è sempre nociva”. “Il fondamentalismo non giova alla democrazia” e l’affermazione di un potere politico – ha concluso il porporato – “deve rispettare le minoranze”.

Ma come gli equilibri mediorientali risentono di ciò che sta succedendo in Egitto e nell’area del Mediterraneo? Risponde Marcella Emiliani, docente di Storia e Istituzioni del Medio Oriente all’Università di Bologna-Forlì, intervistata da Giada Aquilino:RealAudioMP3

R. - Per ora la rivolta si è espansa a macchia d’olio e per ora sta trionfando la cosiddetta politica di strada, la street politics, ma quello che è ora importante è l’esito che avrà. Se davvero da queste rivolte popolari usciranno regimi democratici, scordiamoci il Medio Oriente che abbiamo conosciuto fino ad oggi, perché sarà la più grande rivoluzione che si è avuta - non solo nell’area ma anche a livello internazionale - da decenni a questa parte. Di democrazia in Medio Oriente si parla fin dalla fine della Guerra Fredda e ancor di più dall’inizio della lotta globale al terrorismo, dopo l’11 settembre 2001. Forme puramente di facciata di democrazia erano già state instaurate: è la sostanza della democrazia che manca. Vediamo adesso che sistemi genuinamente rappresentativi possono essere messi in piedi, ricordando però che in tutti i regimi del Medio Oriente la corruzione è altissima, la pratica dei brogli - prima, durante e dopo le elezioni - è diffusissima, che i sistemi di repressione sono estremamente efficienti.

D. - Turchia, Gaza, Libano, ora Egitto, senza contare l’Iran: sta cambiando la mappa delle forze islamiche in Medio Oriente?

R. - Per cambiare, non cambia. L’unica novità è vedere fino a che punto e con quale tipo di rappresentanza saranno inseriti - perché non potranno più essere esclusi - i cosiddetti partiti islamici moderati: mi riferisco alla Tunisia e soprattutto ai Fratelli musulmani in Egitto. Non scordiamo, però, che in Turchia è già al potere un partito islamico e non mi sembra che finora abbia lanciato chissà quali jihad contro gli occidentali o contro altri. Il caso Hamas è un caso totalmente diverso, perché lì si tratta di un discorso che più che l’islam riguarda la “lotta di liberazione nazionale”.

D. - Proprio la Turchia che ruolo potrebbe assumere nella regione?

R. – Il premier Erdogan può favorevolmente esprimersi nei confronti di quanto sta succedendo e lo fa. Non si scordi, però, che in Medio Oriente i turchi non sono gli arabi. Si può benissimo fare un discorso generale tra musulmani, ma quando poi si parla di specificità quello che conta è ormai il confine nazionale e quindi gli egiziani pensano agli egiziani, i tunisini ai tunisini e via dicendo. (mg)







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