2011-02-06 11:00:18

L’Onu celebra la giornata contro le mutilazioni genitali femminili


Ricorre oggi la Giornata mondiale dell’Onu per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili. Circa 135 milioni le donne colpite: per la maggior parte si trovano nei Paesi africani. Tale pratica è tuttavia presente anche in Stati come India, Indonesia, Malesia ed Emirati Arabi dove però mancano indagini statistiche attendibili; segnalati inoltre casi sporadici in Paesi occidentali limitatamente ad alcune comunità di migranti. Questo fenomeno, ancora sommerso e poco conosciuto, costituisce una gravissima violazione del diritto fondamentale alla salute. Sulla sua diffusione, Luca Attanasio ha intervistato il dott. Gennaro Franco dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti dell’Ospedale san Gallicano di Roma:RealAudioMP3

R. – Quantificare il fenomeno è abbastanza difficile, perché le stime attuali sono fatte sempre su comunità di immigrati nei Paesi occidentali. Comunque, secondo le stime di Amnesty International, si parla di 135 milioni di donne nel mondo; di 2 milioni di donne a rischio ogni anno; e di 6 mila a rischio ogni giorno.

D. - Lei intravede un elemento religioso in questa pratica, ci sono delle connessioni tra le diverse culture?

R. - Anzitutto le origini della pratica sono sicuramente pre-islamiche e pre-cristiane e, quindi, indipendenti dall’aspetto religioso, nonostante che nell’immaginario collettivo le mutilazioni si leghino all’islam. Quello che le accomuna nel corso della storia - anche in tempi e in luoghi anche molto vicini a noi - è sicuramente una questione legata al controllo del corpo e della sessualità femminile da parte del maschio. In altre culture, invece, è un intervento anche di natura estetica. Nelle culture locali i termini usati per indicare la mutilazione non hanno niente di cruento: si parla, infatti, di bellezza.

D. - Siete spesso a contatto con tantissime donne che si presentano a voi con questo problema: quali sono i vostri interventi al riguardo?

R. - Noi cerchiamo di riflettere, insieme alle donne, sul fatto che la ferita che portano nel corpo è una ferita che non ha ragione di esistere e cerchiamo anche di riflettere con loro, con l’aiuto soprattutto delle mediatrici culturali, che sono persone che provengono dalle aree geografiche e culturali dalle quali provengono queste donne e che sicuramente - molto più di una persona occidentale - possono capire e far capire questo discorso. Insistiamo molto sul fatto che abbandonare una pratica dannosa non significa abbandonare una cultura. (mg)







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