Messa per l'Ordinazione episcopale di cinque sacerdoti. L'omelia del Papa
Messa oggi, nella Basilica Vaticana, presieduta dal Papa per l’Ordinazione episcopale
di cinque presbiteri: mons. Savio Hon Tai-Fai, salesiano, segretario della Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli; mons. Marcello Bartolucci, segretario della Congregazione
delle Cause dei Santi, mons. Celso Morga, segretario della Congregazione per il Clero,
mons. Antonio Guido Filipazzi e mons. Edgar Peña Parra, nunzi apostolici. Vescovi
co-ordinanti, i cardinali Angelo Sodano e Tarcisio Bertone. “La messe è abbondante
– anche oggi, proprio oggi – ha detto il Papa nell’omelia - . Anche se può sembrare
che grandi parti del mondo moderno, degli uomini di oggi, volgano le spalle a Dio
e ritengano la fede una cosa del passato – esiste tuttavia l’anelito che finalmente
vengano stabiliti la giustizia, l’amore, la pace, che povertà e sofferenza vengano
superate, che gli uomini trovino la gioia. Tutto questo anelito è presente nel mondo
di oggi, l’anelito verso ciò che è grande, verso ciò che è buono. È la nostalgia del
Redentore, di Dio stesso, anche lì dove Egli viene negato”. Quindi ha aggiunto: “Stiamo
attenti che la fede si esprima sempre nell’amore e nella giustizia degli uni verso
gli altri e che la nostra prassi sociale sia ispirata dalla fede; che la fede sia
vissuta nell’amore”. Ecco il testo integrale dell’omelia:
Cari fratelli e
sorelle!
Saluto con affetto questi cinque Fratelli Presbiteri che tra poco
riceveranno l’Ordinazione Episcopale: Mons. Savio Hon Tai-Fai, Mons. Marcello Bartolucci,
Mons. Celso Morga Iruzubieta, Mons. Antonio Guido Filipazzi e Mons. Edgar Peña Parra.
Desidero esprimere loro la gratitudine mia e della Chiesa per il servizio svolto fino
ad ora con generosità e dedizione e formulare l’invito ad accompagnarli con la preghiera
nel ministero a cui sono chiamati nella Curia Romana e nelle Rappresentanze Pontificie
come Successori degli Apostoli, perché siano sempre illuminati e guidati dallo Spirito
Santo nella messe del Signore.
“La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!
Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!” (Lc 10,2).
Questa parola dal Vangelo della Messa di oggi ci tocca particolarmente da vicino in
quest’ora. È l’ora della missione: il Signore manda voi, cari amici, nella sua messe.
Dovete cooperare in quell’incarico di cui parla il profeta Isaia nella prima lettura:
“Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe
dei cuori spezzati” (Is 61,1). È questo il lavoro per la messe nel campo di Dio, nel
campo della storia umana: portare agli uomini la luce della verità, liberarli dalla
povertà di verità, che è la vera tristezza e la vera povertà dell’uomo. Portare loro
il lieto annuncio che non è soltanto parola, ma evento: Dio, Lui stesso, è venuto,
da noi. Egli ci prende per mano, ci trae verso l’alto, verso se stesso, e così il
cuore spezzato viene risanato. Ringraziamo il Signore perché manda operai nella messe
della storia del mondo. Ringraziamo perché manda voi, perché avete detto di sì e perché
in quest’ora pronuncerete nuovamente il vostro “sì” all’essere operai del Signore
per gli uomini.
“La messe è abbondante” – anche oggi, proprio oggi. Anche se
può sembrare che grandi parti del mondo moderno, degli uomini di oggi, volgano le
spalle a Dio e ritengano la fede una cosa del passato – esiste tuttavia l’anelito
che finalmente vengano stabiliti la giustizia, l’amore, la pace, che povertà e sofferenza
vengano superate, che gli uomini trovino la gioia. Tutto questo anelito è presente
nel mondo di oggi, l’anelito verso ciò che è grande, verso ciò che è buono. È la nostalgia
del Redentore, di Dio stesso, anche lì dove Egli viene negato. Proprio in quest’ora
il lavoro nel campo di Dio è particolarmente urgente e proprio in quest’ora sentiamo
in modo particolarmente doloroso la verità della parola di Gesù: “Sono pochi gli operai”.
Al tempo stesso il Signore ci lascia capire che non possiamo essere semplicemente
noi da soli a mandare operai nella sua messe; che non è una questione di management,
della nostra propria capacità organizzativa. Gli operai per il campo della sua messe
li può mandare solo Dio stesso. Ma Egli li vuole mandare attraverso la porta della
nostra preghiera. Noi possiamo cooperare per la venuta degli operai, ma possiamo farlo
solo cooperando con Dio. Così quest’ora del ringraziamento per il realizzarsi di un
invio in missione è, in modo particolare, anche l’ora della preghiera: Signore, manda
operai nella tua messe! Apri i cuori alla tua chiamata! Non permettere che la nostra
supplica sia vana!
La liturgia della giornata odierna ci dà quindi due definizioni
della vostra missione di Vescovi, di sacerdoti di Gesù Cristo: essere operai nella
messe della storia del mondo con il compito di risanare aprendo le porte del mondo
alla signoria di Dio, affinché la volontà di Dio sia fatta sulla terra come in cielo.
E poi il nostro ministero viene descritto quale cooperazione alla missione di Gesù
Cristo, quale partecipazione al dono dello Spirito Santo, dato a Lui in quanto Messia,
il Figlio unto da Dio. La Lettera agli Ebrei – la seconda lettura – completa ancora
questo a partire dall’immagine del sommo sacerdote Melchìsedek, che è un rinvio misterioso
a Cristo, il vero Sommo Sacerdote, il Re di pace e di giustizia.
Ma vorrei
anche dire qualcosa su come questo grande compito sia da svolgere nella pratica –
su che cosa esiga concretamente da noi. Per la Settimana di Preghiera per l’Unità
dei Cristiani, le Comunità cristiane di Gerusalemme avevano scelto quest’anno le parole
degli Atti degli Apostoli, in cui san Luca vuole illustrare in modo normativo quali
sono gli elementi fondamentali dell’esistenza cristiana nella comunione della Chiesa
di Gesù Cristo. Si esprime così: “Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli
e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42). In questi
quattro elementi portanti dell’essere Chiesa è descritto al contempo anche il compito
essenziale dei suoi Pastori. Tutti e quattro gli elementi sono tenuti insieme mediante
l’espressione “erano perseveranti” – “erant perseverantes”: la Bibbia latina traduce
così l’espressione greca προσκαρτερέω: la perseveranza, l’assiduità, appartiene all’essenza
dell’essere cristiani ed è fondamentale per il compito dei Pastori, degli operai nella
messe del Signore. Il Pastore non deve essere una canna di palude che si piega secondo
il soffio del vento, un servo dello spirito del tempo. L’essere intrepido, il coraggio
di opporsi alle correnti del momento appartiene in modo essenziale al compito del
Pastore. Non deve essere una canna di palude, bensì – secondo l’immagine del Salmo
primo – deve essere come un albero che ha radici profonde nelle quali sta saldo e
ben fondato. Ciò non ha niente a che fare con la rigidità o l’inflessibilità. Solo
dove c’è stabilità c’è anche crescita. Il cardinale Newman, il cui cammino fu marcato
da tre conversioni, dice che vivere è trasformarsi. Ma le sue tre conversioni e le
trasformazioni in esse avvenute sono tuttavia un unico cammino coerente: il cammino
dell’obbedienza verso la verità, verso Dio; il cammino della vera continuità che proprio
così fa progredire.
“Perseverare nell’insegnamento degli Apostoli” – la fede
ha un contenuto concreto. Non è una spiritualità indeterminata, una sensazione indefinibile
per la trascendenza. Dio ha agito e proprio Lui ha parlato. Ha realmente fatto qualcosa
e ha realmente detto qualcosa. Certamente, la fede è, in primo luogo, un affidarsi
a Dio, un rapporto vivo con Lui. Ma il Dio al quale ci affidiamo ha un volto e ci
ha donato la sua Parola. Possiamo contare sulla stabilità della sua Parola. La Chiesa
antica ha riassunto il nucleo essenziale dell’insegnamento degli Apostoli nella cosiddetta
Regula fidei, che, in sostanza, è identica alle Professioni di Fede. È questo il fondamento
attendibile, sul quale noi cristiani ci basiamo anche oggi. È la base sicura sulla
quale possiamo costruire la casa della nostra fede e della nostra vita (cfr Mt 7,24ss).
E di nuovo, la stabilità e la definitività di ciò che crediamo non significano rigidità.
Giovanni della Croce ha paragonato il mondo della fede ad una miniera in cui scopriamo
sempre nuovi tesori – tesori nei quali si sviluppa l’unica fede, la professione del
Dio che si manifesta in Cristo. Come Pastori della Chiesa viviamo di questa fede e
così possiamo anche annunciarla come il lieto messaggio che ci rende sicuri dell’amore
di Dio e dell’essere noi amati da Lui.
Il secondo pilastro dell’esistenza ecclesiale,
san Luca lo chiama κοινωνία – communio. Dopo il Concilio Vaticano II, questo termine
è diventato una parola centrale della teologia e dell’annuncio, perché in esso, di
fatto, si esprimono tutte le dimensioni dell’essere cristiani e della vita ecclesiale.
Che cosa Luca voglia precisamente esprimere con tale parola, non lo sappiamo. Possiamo
quindi tranquillamente comprenderla in base al contesto globale del Nuovo Testamento
e della Tradizione apostolica. Una prima grande definizione di communio l’ha data
san Giovanni all’inizio della sua Prima Lettera: Quello che abbiamo veduto e udito,
quello che le nostre mani hanno toccato, noi lo annunciamo a voi, perché anche voi
abbiate communio con noi. E la nostra communio è comunione con il Padre e con il Figlio
suo, Gesù Cristo (cfr 1Gv 1,1-4). Dio si è reso per noi visibile e toccabile e così
ha creato una reale comunione con Lui stesso. Entriamo in tale comunione attraverso
il credere e il vivere insieme con coloro che Lo hanno toccato. Con loro e tramite
loro, noi stessi in certo qual modo Lo vediamo, e tocchiamo il Dio fattosi vicino.
Così la dimensione orizzontale e quella verticale sono qui inscindibilmente intrecciate
l’una con l’altra. Con lo stare in comunione con gli Apostoli, con lo stare nella
loro fede, noi stessi stiamo in contatto con il Dio vivente. Cari amici, a tale scopo
serve il ministero dei Vescovi: che questa catena della comunione non si interrompa.
È questa l’essenza della Successione apostolica: conservare la comunione con coloro
che hanno incontrato il Signore in modo visibile e tangibile e così tenere aperto
il Cielo, la presenza di Dio in mezzo a noi. Solo mediante la comunione con i Successori
degli Apostoli siamo anche in contatto con il Dio incarnato. Ma vale anche l’inverso:
solo grazie alla comunione con Dio, solo grazie alla comunione con Gesù Cristo questa
catena dei testimoni rimane unita. Vescovi non si è mai da soli, ci dice il Vaticano
II, ma sempre soltanto nel collegio dei Vescovi. Questo, poi, non può rinchiudersi
nel tempo della propria generazione. Alla collegialità appartiene l’intreccio di tutte
le generazioni, la Chiesa vivente di tutti i tempi. Voi, cari Confratelli, avete la
missione di conservare questa comunione cattolica. Sapete che il Signore ha incaricato
san Pietro e i suoi successori di essere il centro di tale comunione, i garanti dello
stare nella totalità della comunione apostolica e della sua fede. Offrite il vostro
aiuto perché rimanga viva la gioia per la grande unità della Chiesa, per la comunione
di tutti i luoghi e i tempi, per la comunione della fede che abbraccia il cielo e
la terra. Vivete la communio, e vivete con il cuore, giorno per giorno, il suo centro
più profondo in quel momento sacro, in cui il Signore stesso si dona nella santa Comunione.
Con
ciò siamo già giunti al successivo elemento fondamentale dell’esistenza ecclesiale,
menzionato da san Luca: lo spezzare il pane. Lo sguardo dell’Evangelista, a questo
punto, torna indietro ai discepoli di Emmaus, che riconobbero il Signore dal gesto
dello spezzare il pane. E da lì, lo sguardo torna ancora più indietro all’ora dell’Ultima
Cena, in cui Gesù, nello spezzare il pane, distribuì se stesso, si fece pane per noi
ed anticipò la sua morte e la sua risurrezione. Spezzare il pane – la santa Eucaristia
è il centro della Chiesa e deve essere il centro del nostro essere cristiani e della
nostra vita sacerdotale. Il Signore si dona a noi. Il Risorto entra nel mio intimo
e vuole trasformarmi per farmi entrare in una profonda comunione con Lui. Così mi
apre anche a tutti gli altri: noi, i molti, siamo un solo pane e un solo corpo, dice
san Paolo (cfr 1Cor 10,17). Cerchiamo di celebrare l’Eucaristia con una dedizione,
un fervore sempre più profondo, cerchiamo di impostare i nostri giorni secondo la
sua misura, cerchiamo di lasciarci plasmare da essa. Spezzare il pane – con ciò è
espresso insieme anche il condividere, il trasmettere il nostro amore agli altri.
La dimensione sociale, il condividere non è un’appendice morale che s’aggiunge all’Eucaristia,
ma è parte di essa. Ciò risulta chiaramente proprio dal versetto che negli Atti degli
Apostoli segue a quello citato poc’anzi: “Tutti i credenti … avevano ogni cosa in
comune”, dice Luca (2,44). Stiamo attenti che la fede si esprima sempre nell’amore
e nella giustizia degli uni verso gli altri e che la nostra prassi sociale sia ispirata
dalla fede; che la fede sia vissuta nell’amore.
Come ultimo pilastro dell’esistenza
ecclesiale, Luca menziona “le preghiere”. Egli parla al plurale: preghiere. Che cosa
vuol dire con questo? Probabilmente pensa alla partecipazione della prima Comunità
di Gerusalemme alle preghiere nel tempio, agli ordinamenti comuni della preghiera.
Così si mette in luce una cosa importante. La preghiera, da una parte, deve essere
molto personale, un unirmi nel più profondo a Dio. Deve essere la mia lotta con Lui,
la mia ricerca di Lui, il mio ringraziamento per Lui e la mia gioia in Lui. Tuttavia,
non è mai soltanto una cosa privata del mio “io” individuale, che non riguarda gli
altri. Pregare è essenzialmente anche sempre un pregare nel “noi” dei figli di Dio.
Solo in questo “noi” siamo figli del nostro Padre, che il Signore ci ha insegnato
a pregare. Solo questo “noi” ci apre l’accesso al Padre. Da una parte, la nostra preghiera
deve diventare sempre più personale, toccare e penetrare sempre più profondamente
il nucleo del nostro “io”. Dall’altra, deve sempre nutrirsi della comunione degli
oranti, dell’unità del Corpo di Cristo, per plasmarmi veramente a partire dall’amore
di Dio. Così il pregare, in ultima analisi, non è un’attività tra le altre, un certo
angolo del mio tempo. Pregare è la risposta all’imperativo che sta all’inizio del
Canone nella Celebrazione eucaristica: Sursum corda – in alto i cuori! È l’ascendere
della mia esistenza verso l’altezza di Dio. In san Gregorio Magno si trova una bella
parola al riguardo. Egli ricorda che Gesù chiama Giovanni Battista una “lampada che
arde e risplende” (Gv 5,35) e continua: “ardente per il desiderio celeste, risplendente
per la parola. Quindi, affinché sia conservata la veridicità dell’annuncio, deve essere
conservata l’altezza della vita” (Hom. in Ez. 1,11,7 CCL 142, 134). L’altezza, la
misura alta della vita, che proprio oggi è così essenziale per la testimonianza in
favore di Gesù Cristo, la possiamo trovare solo se nella preghiera ci lasciamo continuamente
tirare da Lui verso la sua altezza.
Duc in altum (Lc 5,4) – Prendi il largo
e gettate le reti per la pesca. Questo disse Gesù a Pietro e ai suoi compagni quando
li chiamò a diventare “pescatori di uomini”. Duc in altum – Papa Giovanni Paolo II,
nei suoi ultimi anni, ha ripreso con forza questa parola e l’ha proclamata a voce
alta ai discepoli del Signore di oggi. Duc in altum – dice il Signore in quest’ora
a voi, cari amici. Siete stati chiamati per incarichi che riguardano la Chiesa universale.
Siete chiamati a gettare la rete del Vangelo nel mare agitato di questo tempo per
ottenere l’adesione degli uomini a Cristo; per tirarli fuori, per così dire, dalle
acque saline della morte e dal buio nel quale la luce del cielo non penetra. Dovete
portarli sulla terra della vita, nella comunione con Gesù Cristo. In un passo del
primo libro della sua opera sulla Santissima Trinità, sant’Ilario di Poitiers prorompe
improvvisamente in una preghiera: Per questo prego “affinché Tu gonfi le vele dispiegate
della nostra fede e della nostra professione con il soffio del Tuo Spirito e mi spinga
avanti nella traversata del mio annuncio” (I 37 CCL 62, 35s). Sì, per questo preghiamo
in quest’ora per voi, cari amici. Dispiegate quindi le vele delle vostre anime, le
vele della fede, della speranza, dell’amore, affinché lo Spirito Santo possa gonfiarle
e concedervi un viaggio benedetto come pescatori di uomini nell’oceano del nostro
tempo. Amen.