L'incontro di Westminster Hall conclude al Vicariato il ciclo sui grandi discorsi
di Benedetto XVI
Con l’appuntamento dedicato al tema “Secolarità non è neutralità: un nuovo cammino
per lo sviluppo integrale della persona umana”, occasione per rileggere il discorso
pronunciato a Westminster Hall a Londra da Benedetto XVI il 17 settembre 2010, si
è concluso il ciclo di incontri sui grandi discorsi del Papa, organizzato dall’Ufficio
per la Pastorale Universitaria del Vicariato presso il Palazzo Apostolico Lateranense
di Roma. C’era per noi Roberta Barbi:
Secolarità
e neutralità: due caratteristiche del nostro tempo che sintetizzano il decisivo rapporto
tra la dimensione religiosa e la dimensione politica nell’attualità. Il Papa, nel
discorso alle autorità civili a Westminster Hall esorta i fedeli alla responsabilità,
riprende le parole di Gesù che invita ognuno a prendere su di sé la propria croce.
Ma la secolarizzazione è altra cosa dal secolarismo e non è per forza un concetto
negativo. Ha spiegato la differenza il prof. Lorenzo Ornaghi,
rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore:
“La secolarizzazione
non è negativa in sé, anzi: ha portato aspetto positivi anche nel rapporto della laicità
rispetto alla religione. Diverso è il secolarismo, quindi diversi sono quelli che
possiamo considerare i cascami ideologici della secolarizzazione. Il discorso del
Papa, per esempio, fa chiarezza concettuale e quindi ci riporta ai fondamenti e così
a saper cogliere, della secolarizzazione, gli aspetti positivi e talvolta migliori,
cercando di abbandonare i peggiori”.
Il centro del discorso del Santo
Padre al Parlamento britannico in un luogo simbolo, l’Inghilterra, della democrazia
moderna, è l’odierna realtà della marginalizzazione della religione dalla sfera politica
e dalla vita pubblica: un fenomeno che colpisce in particolar modo i cristiani e le
nazioni storicamente più aperte alla tolleranza. È proprio qui che si vuole mettere
a tacere la religione, o quantomeno relegarla alla sfera privata dell’individuo: una
tendenza, però, non senza conseguenze per la democrazia moderna, come chiarisce mons.
Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della
Pace:
“In questa maniera si svilisce l’etica democratica, il consenso
sociale morale; si svilisce il fondamento del diritto e alla fine trova posto qualsiasi
cosa. Anche ciò che è arbitrario”.
Il ruolo della regione nel dibattito
politico odierno è allora quello di conferire i fondamenti per allargare la visione
politica e offrire terreno fertile all’etica della democrazia. Una democrazia che
oggi è in crisi: crisi istituzionale e crisi valoriale, ma è una crisi che si può
superare. In quale modo, lo spiega mons. Toso:
“Trovando
fondamenti solidi – come ha detto Benedetto XVI in più occasioni; e questi fondamenti
solidi si trovano ricollegando il consenso sociale alla legge morale naturale la quale,
nei suoi principi si trova nella coscienza di ogni uomo, di qualsiasi razza e di qualsiasi
religione”.
Si torna quindi alla questione della testimonianza di fede
che i cattolici devono dare all’interno della società, anche se alcuni vorrebbero
escluderli o vorrebbero che agissero contro la propria coscienza. Il Papa, nell’affrontare
questo argomento, cita Tommaso Moro, “ammirato da credenti e non credenti per l’integrità
con cui fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al
sovrano di cui era ‘buon servitore’”. L’esempio del grande uomo di fede e statista
inglese, ricorda mons. Toso, parla ancora all’uomo di oggi:
“Tommaso
Moro seppe riconoscere una legge morale che va al di là della legge positiva, quella
stabilita dal re e dai suoi ministri, che ha fondamento nella coscienza. Vuol dire
proprio questo: che noi dobbiamo sapere dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare
quello che è di Cesare”.
Con la serata di ieri si è chiuso il ciclo
di incontri dedicato ai grandi discorsi del Papa; occasioni per rileggere le parole
del Santo Padre, la cui chiarezza è presupposto essenziale all’azione. Rileggere i
discorsi, dunque, non tanto per capirli meglio, ma per agire meglio, soprattutto in
un momento storico in cui i cristiani sono chiamati più che mai a dare il meglio di
sé nell’annuncio del Vangelo. È un bilancio tutto positivo quello che fa mons.
Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio per la Pastorale universitaria del
Vicariato di Roma:
“La conclusione più bella è la consapevolezza che
Benedetto XVI sta indicando a tutta la Chiesa una nuova presenza cristiana. Però,
ciò comporta che i credenti che hanno vissuto e che vivono l’esperienza dell’incontro
pieno con Cristo, si rendano consapevoli della grande responsabilità che hanno non
soltanto per se stessi, ma anche nei confronti della società. La testimonianza, oggi,
ha bisogno di essere rafforzata proprio da questa consapevolezza, che annunciare il
Vangelo non significa invadere competenze del mondo secolare, ma significa rendere
un servizio, perché là dove il Vangelo arriva, lì si creano le premesse per una vera
secolarità come il Papa ha indicato nell’ultimo discorso a Westminster Hall”. (gf)