Campagna di "disobbedienza civile" dei vescovi filippini per fermare la legge pro-aborto
Vescovi filippini annunciano una campagna di “disobbedienza civile” contro l’eventuale
approvazione della legge di salute riproduttiva. Ieri mons. Arturo Bastes vescovo
di Sorgoson ha affermato: “Siamo disposti ad andare in carcere insieme ai nostri sacerdoti,
per protestare contro questo provvedimento immorale”. I vescovi precisano - riferisce
che la campagna non mira a rovesciare il governo, ma è solo una mossa per respingere
con forza il disegno di legge e avverrà in modo pacifico. In una lettera pastorale,
mons. Nereo Odchimar presidente della Conferenza episcopale delle Filippine, ha invitato
la gente a opporsi al disegno di legge e ad agire contro il suo passaggio. Il prelato
ha però sottolineato che l’organizzazione di manifestazioni e altre forme di proteste
sarà una scelta libera di ciascun fedele. Secondo fonti dell'agenzia AsiaNews, i vescovi
sono uniti nella loro opposizione, ma vi è molta incertezza tra i laici cattolici.
In febbraio il provvedimento verrà presentato alla camera dei deputati per l’approvazione
definitiva. Per non urtare il sentimento dei cattolici esso non si chiamerà più “legge
di salute riproduttiva”, ma legge “per la paternità responsabile”. Resteranno però
in vigore le disposizioni controverse che permettono l’utilizzo di contraccettivi
considerati abortivi, la sponsorizzazione della legge nelle scuole e il divieto di
obiezione di coscienza per i medici. Ciò nonostante gli sforzi della Chiesa e da ultimo
del presidente Beniño Aquino, che nei giorni scorsi aveva annunciato una revisione
dei punti più controversi della legge. Intanto, l’associazione pro-life Human Life
International (Hli), organizzerà nei prossimi giorni una manifestazione per chiedere
al presidente Aquino di resistere alle pressioni delle organizzazioni internazionali
che sponsorizzano i controlli delle nascite per combattere la povertà. Secondo Rene
Bullecer, direttore di Hli il presidente ha ricevuto pressioni dalle agenzie internazionali
tra le cui la United States Agency for International Development (Usaid) e United
Nations Population Fund (Unfpa). Esse avrebbero donato al governo oltre 900 milioni
di dollari Usa, per costringere Aquino a fare un passo indietro. (R.P.)